Una vita e un pensiero ancora da scoprire

Poche figure quasi del tutto sconosciute in vita, anche dietro una ben precisa scelta, pur avendola vissuta intensamente su vari piani da quello più propriamente concettuale a quello socio-politico,  hanno avuto e continuano ad avere dopo la morte  una costante attenzione in diversi contesti, come ad esempio Simone Weil (1909-1943); fu Albert Camus coll’iniziare a pubblicarne alcuni scritti, nell’immediato secondo dopoguerra, ad attirare l’attenzione su  questa singolare figura e ad invitare a confrontarsi con la radicalità di cui era portatrice la sua esperienza di vita sino a contagiare personalità che daranno vita a  profonde trasformazioni nei  rispettivi campi come Adriano Olivetti ed il futuro Giovanni XXIII. In tal modo lo scrittore francese incominciò a dare  così consistenza a dei bisogni simili di poche ma significative personalità che si erano e si stavano abbeverando a questa vera e propria fonte di Siloe, quali furono in campo americano gli appartenenti al gruppo di ‘Politics’ e di ‘Partisan Review’  ed in campo europeo Jeanne Hersch, Czeslaw Miłosz e gli italiani Ignazio Silone, Nicola Chiaromonte, Gianfranco Draghi, Spinelli, Eugenio Colorni, Danilo Dolci, Padre Vannucci, Olivetti, Franco Fortini, Cristina Campo e Margherita Pieracci Harwell.

Tali eterogenee  figure secondo diverse modalità hanno avuto in comune il pensiero di Simone Weil,  un ‘filo che attraversa le loro vite’ come evidenzia Roberta  De Monticelli nell’introduzione all’interessante volume di Margherita Pieracci Harwell, Si apriva il balcone sull’amata Parigi. Lettere e memoria della madre di Simone Weil (Alberobello, Poiesis Editrice 2017); tale lavoro si rivela indispensabile, oltre per le notizie di prima mano grazie agli incontri avuti in casa Weil verso la fine degli anni ’50, per capire meglio il contesto e l’atmosfera concettuali entro cui l’ancora giovanissima per non dire bambina Simone abbia percepito nella loro cogenza le centrali idee di verità, di giustizia e di attenzione, insieme all’esperienza della bellezza quale veniva fuori dalla sua camera e ben presente nel Prologue. Ma se ancora oggi più il suo pensiero è più che mai al centro di rinnovati interessi in diverse parti del mondo, è perché ha trovato le  radici in primis nelle concrete vicende della vita tese  da un non comune percorso verso il ‘gusto della verità’ o meglio ‘follia per essa’, a dirla con Camus, da portarla a ‘comprendere la malattia della sua epoca, e di vederne i rimedi’; e per   questo, tipico della ‘solitudine dei precursori’,  si rivela la sua pur breve esperienza di vita e di pensiero ‘carica di speranza’ .

Il  riconoscimento di questa ‘grandezza’ col connesso precipitato di ‘speranza’ ha caratterizzato  non a caso  la ormai abbondante letteratura critica  su Simone Weil a livello mondiale, la cui sete radicale di verità ha contagiato interi campi non solo di ricerca, tale da poter dire sulla scia di Alain Badiou che può far parte senza nessuna esitazione, insieme ad altre figure,  del nostro ‘piccolo pantheon portatile’ con cui confrontarsi; e là, infatti, dove essa si è incuneata proficuamente ha prodotto  significativi cambiamenti qualitativi nel costringere uomini e istituzioni anche secolari a fare i conti criticamente con il loro operato e a cambiare rotta. Ancora oggi in virtù della sua ‘spietata libertà interiore’, come  dicono Vito Mancuso e Sabina Moser curatrice del volume  antologico  L’attesa della verità (Milano, Il Corriere della Sera 2021),  ci dà gli strumenti per affrontare con dei ‘rimedi’ razionali  le derive nichilistiche delle diverse malattie della nostra epoca e le sfide che ci attendono sia a livello personale che collettivo.

Ci vengono in aiuto per questo obiettivo due recenti lavori che si possono integrare per capire da un lato la piena dimensione filosofica del pensiero di Simone Weil, oggi più che mai al centro dell’attenzione (Per un umanesimo dell’entre, 14 luglio) e dall’altro il  non comune modo di esplicitare la sete di verità che ne pervade l’intero percorso. Non a caso ritornano ad essere centrali negli studi più recenti sia sul piano teoretico che esistenziale la nozione di metaxu  nel volume di Emmanuel Gabellieri, Le phénomène et l’entre-deux. Pour une métaxologie (Paris, Hermann 2019) e nello stesso tempo il ruolo ermeneutico assunto dai suoi quaderni  da parte di Tasnĭm Tirkawi, La pensée sur la page. L’expérience du carnet chez Simone Weil (Paris, Hermann 2021); in quest’ultimo lavoro,  si ribadisce  ancora una volta e in continuità con  precedenti lavori di altri studiosi la peculiarità dei suoi Cahiers, su cui  ha lavorato in particolar modo Giancarlo Gaeta, non tenuto però presente, con una non comune attenzione filologica (Quaderni, Milano, Adelphi, voll. I-IV) col darci gli strumenti per renderli  ‘paragonabili, per ricchezza e genialità’,  risultato a cui sono pervenuti Vito Mancuso e diversi altri prima, alle Ricerche filosofiche  di Wittgenstein e ai  Quaderni e diari di Hannah Arendt.

Si segnala in particolar modo il volume di Gabellieri, già autore di un altro fondamentale testo nel 2003    Étre et don. Simone Weil et la philosophie, nel cogliere la portata ontologica dell’idea weiliana di  metaxu, di mediazione tale da costituire una vera e propria metaxologia, una filosofia strategicamente  imperniata sugli intermediari, sul ‘tra’ e rivolta costitutivamente all’entre, posizione questa che, per altre vie e sulla scia di Pavel Florenskij, sta diventando un capitolo non secondario nel dibattito odierno (Una filosofia del tra,  2 ottobre 2020 e Briciole di complessità. Tra la rugosità del reale, Roma, Ed. Studium, 2002, pp.  133-136). Tale prospettiva, ritenuta in grado di “legare logos e philia”, permette  di gettare le basi di una ‘ontologia relazionale’ con l’aprire la strada ad una vera e propria  filosofia del dono;  tale cruciale è idea al centro in questi ultimi tempi di rinnovati interessi in più ambiti, da quello antropologico e sociologico a quello teologico ed ecologico, per cercare di invertire la rotta a senso unico impressa al nostro destino.

Non a caso nell’intero percorso di Simone Weil viene individuata “una prospettiva che anticipa la fenomenologia dell’esistente senza cadere nel teoreticismo di Husserl che dell’ontologia impersonale di Heidegger”; tale prospettiva relazionale a cui deve tendere ogni sano pensiero, che si nutre dei diversi volti del reale col darne il dovuto ascolto, poi è la base non secondaria della sua esperienza mistica in quanto, a dirla con David Maria Turoldo, “il mistico è spesso l’anima del mondo, anima che si fa voce delle cose, canto, appunto, preghiera”. Gabellieri  ci conduce nel suo lavoro  a ridare una diversa fisionomia al percorso della Weil e, grazie ad una presa in carica di diversi orizzonti aperti dall’idea di metaxu, ne mette in evidenza l’apporto ad un ripensamento del tema della libertà, di una ‘interiorità’ rivolta in modo organico all’’altro’, dove il dono e lo stesso lavoro, altro tema costante delle riflessioni weiliane in quanto ritenuto costitutivo dell’essere umano, vengono ad assumere nuove dimensioni.

A sua volta, il lavoro  di Tirkawi ci aiuta a comprendere il ricorso da parte della Weil alla scelta del frammento e del carnet, dove il suo pensiero prende volto  grazie e sur la page, sulla scia delle scuole filosofiche greco-latine dove gli scritti assumevano un vero e proprio “sostegno per gli esercizi spirituali” e per essere, a dirla con David Maria Turoldo, dei cammini per raggiungere la verità, la bontà e la bellezza con umiltà; il carnet, come altri studiosi hanno evidenziato, è ritenuto uno strumento di mediazione e di riflessione tra l’esperienza della vita e la sua ‘anima’  e di confronto con i grandi temi filosofici, politici e letterari. Il “riscrivere, il rileggere e il meditare”, esperienza in comune con diversi pensatori e artisti, sono attività  essenziali per riorientare il “discorso interiore” ed il rigore, derivato dal metterlo quasi quotidianamente in pratica, è una garanzia per cogliere il vero dove esso si annida per combattere le illusioni di certa immaginazione. I diciotto carnets sono considerati i luoghi dove si evidenziano i modi “per capire meglio quel particolare processo di spogliazione di sé stessa”, messo ivi in atto e richiesto preliminarmente quasi come conditio sine qua, per cogliere il reale e le sue ‘rugosità’; tale spietata messa a crudo dell’io e dei suoi limiti non a caso  ha turbato e affascinato nello stesso tempo prima Georges Bataille, che ha conosciuto personalmente Simone Weil con darle il nome di Lazare nel suo romanzo  Le bleu du ciel  del 1935,  e poi  Michel Serres, come risulta dalle sue cinque conversazioni con Bruno Latour (Chiarimenti, trad. it, Manduria, Barbieri Ed. 2001).

La pensée sur la page si rivela, pertanto, un percorso in grado di cogliere meglio il senso dei vari enjeux  “tra la vita e le opere, i legami con la tradizione, il suo approccio alla letteratura” e getta una nuova luce su quel “microcosmo costituito da una larga gamma di riferimenti a diverse campi del sapere”;  nello stesso tempo ci aiuta a capire che “i limiti, gli obiettivi, il controllo del linguaggio  sono indizi  di una cosciente volontà di prendere possesso del sé attraverso e grazie al carnet”  dove gli stessi engagements, da quello sindacale-politico e poi a quello stesso mistico, sono sottoposti ad un intenso lavoro di chiarimento per arrivare al denso  travaglio interiore e al “perfezionamento di sé”. Il lavoro di Tirkawi è poi particolarmente interessante in quanto viene a chiarire ulteriormente il senso di questa  singolare pratica della scrittura, che ricorda “la forma delle hypomnȇmata” greche e dei primi cristiani col contestuale sacrificio di sé; nello stesso tempo  fornisce altri strumenti per capire meglio la strada che ha portato Simone Weil alla stessa “emergenza del concetto di decreazione”, un altro nodo centrale del suo percorso, con il suo precipitato ‘politico’. In tal modo viene ad assumere un nuovo senso il “ritorno di nuovo al politico” dell’esperienza weiliana, dove “l’etica del sé non può separarsi dal politico”; e la stessa sua ultima opera per la progettualità di fondo che la ispira e per “la lettura globale che viene offerta a ciascuno di noi”, L’Enracinement, ritenuta “la più importante”, viene letta come il “seguito di tale particolare esperienza del sé che viene a determinarsi grazie alla mediazione dei suoi carnets”.

Poi è da sottolineare il fatto che i due volumi siano stati pubblicati entrambi dalla storica casa editrice Hermann nel passato più impegnata sul versante scientifico ed epistemologico con la pubblicazione di opere di alcuni dei maggiori scienziati  e di storici e filosofi della scienza tra ‘800 e ‘900; e a tal proposito  non va dimenticato l’edizione delle  opere di quel movimento di matematici che va sotto il nome di Nicolas Bourbaki, a partire dalla fine degli anni ’30 sino agli anni ’60, movimento portato avanti dal fratello André e che mise i primi passi proprio in casa Weil, i cui accesi dibattiti hanno trovato eco in alcuni scritti  di Simone col dare così  anche significativi contributi sulla natura particolare delle matematiche, in contrasto con la visione del fratello. E i carnets sono particolarmente importanti per aver messo ‘sur la page’ le stesse potenzialità euristiche del pensiero matematico  col ricavarne utili  riferimenti per il suo percorso (cfr. Cuori pensanti in filosofia della scienza, Roma, Castelvecchi, 2018, cap. II).


FonteMarko Kafé, CC BY-SA 4.0 , via Wikimedia Commons
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Mario Castellana, già docente di Filosofia della scienza presso l’Università del Salento e di Introduzione generale alla filosofia presso la Facoltà Teologica Pugliese di Bari, è da anni impegnato nel valorizzare la dimensione culturale del pensiero scientifico attraverso l’analisi di alcune figure della filosofia della scienza francese ed italiana del ‘900. Oltre ad essere autore di diverse monografie e di diversi saggi su tali figure, ha allargato i suoi interessi ai rapporti fra scienza e fede, scienza ed etica, scienza e democrazia, al ruolo di alcune figure femminili nel pensiero contemporaneo come Simone Weil e Hélène Metzger. Collaboratore della storica rivista francese "Revue de synthèse", è attualmente direttore scientifico di "Idee", rivista di filosofia e scienze dell’uomo nonché direttore della Collana Internazionale "Pensée des sciences", Pensa Multimedia, Lecce; come nello spirito di "Odysseo" è un umile navigatore nelle acque sempre più insicure della conoscenza.