«Un viaggio di mille miglia comincia da sotto i piedi»

(Laozi)

Caro lettore, adorata lettrice,

a 8km dalla mia scrivania, dal luogo in cui di solito ti scrivo, martedì scorso è stata avvertita una scossa di terremoto. Era una scossa di quarto grado della scala Richter ed è stata percepita distintamente, tanto che, immediatamente, tutte le scuole ed altri pubblici uffici sono stati evacuati. Alcuni edifici sono stati danneggiati, ma fortunatamente non ci sono state conseguenze per le persone.

Perché te ne scrivo? Non per la notizia in sé: mentre ne leggi, è ormai già vecchia e giornalisticamente morta e sepolta.

Te ne scrivo per quello che è successo subito dopo. In tutta Italia e anche fuori dall’Italia, i cellulari hanno incominciato a vibrare: messaggi (più che telefonate…) a non finire…  Della serie: “Come stai? Tutto bene?” – “Tutto bene, grazie a Dio”… e cose del genere.

Ora, lasciando da parte le implicazioni teologiche (dire “grazie a Dio” non sono morto durante un terremoto, equivale ad affermare che altri sono morti sotto un terremoto perché Dio lo ha voluto…), quello che mi ha colpito è la banalità delle nostre reazioni.

Sì, davanti alla paura di morire, rischiamo davvero di rivelarci banali. Come il male, della Arendt. Non sappiamo dire nulla di più che cose ovvie, anche illogiche, insensate. Vengono fuori tutte le nostre incertezze. Emerge quanto poco, di solito, ci interroghiamo sul senso della nostra esistenza. E così, se uno ci chiede: “Come stai?”, ma intende: “Hai avuto paura di morire?”, noi rispondiamo “Tutto a posto”…

Che poi, che domanda è: “Come stai?”. Come uno che se l’è fatta addosso, come devo stare? Senza parlare di chi ti chiede: “E come mai? Com’è successo?”… Come è successo cosa? Che in un Paese sismico come l’Italia si avverta una scossa? E com’è che dovrebbe succedere? Con una telefonata di preavviso? Tipo: “Ciao, scusa, sono il terremoto (oppure: “sono Dio”), posso mandarti una scossa?”.

Chiaro: chi ti contatta, lo fa perché si preoccupa, ti vuol bene, vuole assicurarsi che non ti sia accaduto nulla di male. Ha bisogno che tu gli dica che non è successo niente. Almeno per ora.

Hai letto bene: almeno per ora.

Perché una scossa di terremoto che non ha portato gravi conseguenze, a parte il fatto di farci riflettere seriamente sulla necessità di messa in sicurezza delle nostre città e delle abitazioni (tema drammatico!), un effetto sicuro dovrebbe tuttavia garantirlo: quello di ricordarci che siamo umani.

Intendo: che non siamo eterni, che siamo, come si suol dire, “di passaggio”. Da dove veniamo e verso dove andiamo, nessuno lo sa di preciso e ognuno ha la sua fede, fosse pure per negare ogni senso a questa vita. Ma resta il fatto che non siamo eterni. E che dovremmo pensarci, almeno a giorni alterni.

Se non altro, per vivere ogni giorno come se fosse l’unico e il migliore che ci rimane.

Vuoi sapere come ho risposto a chi mi chiedeva come stessi dopo aver avvertito la scossa? La tua è una curiosità legittima. Ho risposto: «Tutto bene, grazie: eravamo mortali prima, lo siamo anche ora… Ogni tanto, fa bene ricordarselo».

«Già!», è stata la replica…

Beh, così è, se vi pare: che sia un buon caffè, magari shakerato!

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"caffè comunitario"by V__ is licensed under CC BY-NC-SA 2.0

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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...