
Anzi su due…
Mio padre.
Poterlo rivedere sempre con il cappello sui radi capelli bianchi e i suoi occhi grandi azzurri dietro i vetri degli occhiali. Rubargli un ultimo attimo, fermi entrambi davanti la macchina parcheggiata, prima che entrasse in casa. Minacciare il tempo guidato dall’indeterminazione. Pagare il debito con la mia inconsistenza. Aveva colpe come le avevo io. Non avevo accettato né la sua né la mia di impotenza. E non potevo chiedergli più di quanto riuscivo a dargli. Ora lo so.
Un giorno prima di quel 10 gennaio l’ho guardato seriamente, era amareggiato per un raschio trovato sulla macchina piccola, ha borbottato da arrabbiato frasi senza senso. E gli ho spiegato, ci sono cose più importanti era il senso, che doveva essere accaduto sicuramente qualcosa se in un dato istante del passato, a una distanza temporale finita dall’istante presente, le stelle si fossero accese. Il motivo per cui il cielo notturno non risplende in ogni direzione è perché la luce degli astri, molto lontani, non ha ancora avuto il tempo di raggiungerci. Noi viviamo al buio e la luce che non vediamo è tanta. Mi ha guardato in silenzio, ha sorriso e poi sentenziato che i libri mi stavano rovinando la vita. Aveva ragione.
Era il padre. Un padre. E un altro padre come Rudyard Kipling. Scrittore e poeta vincitore del premio Nobel nel 1907, autore de “Il libro della giungla”, che visse sentendosi responsabile per la morte del figlio sino alla fine dei suoi giorni, senza darsene mai pace. Suo figlio si chiamava John e suo padre, a quei tempi un alto ufficiale inglese, lo convinse ad arruolarsi per forgiargli il carattere. John non avrebbe voluto ma fu costretto. Il destino era in agguato.
John Kipling fu dato per disperso nella battaglia di Loos, nel nord della Francia, in un fine settembre del 1915. Era un tenente diciottenne dell’esercito britannico e si racconta divenne uno dei soldati più ricercati della Prima Guerra Mondiale. E questo perché suo padre, primo inglese a vincere il Nobel per la Letteratura, era sicuramente il più importante intellettuale dell’allora impero britannico.
Rudyard Kipling chiese aiuto a molti uomini influenti dell’aristocrazia mondiale: tra questi probabilmente il principe di Galles, la principessa di Svezia e l’ambasciatore americano a Londra.
Si racconta che il Royal Flying Corps, durante la Prima Guerra Mondiale forza aerea del Regno Unito, lanciò fogli ciclostilati tra le linee nemiche tedesche con la scritta “der Sohn des weltberühmten Schriftstellers Rudyard Kipling”, nel tentativo disperato di salvargli la vita.
Kipling e sua moglie Caroline visitarono persino gli ospedali di guerra sperando di poter avere notizie dai soldati sopravvissuti del reggimento del loro figlio John: tuttavia nessuno ne aveva, tranne un certo testimone oculare che raccontava senza prove certe di aver sentito di una granata esplosa sopra la testa del figlio di un famoso scrittore.
John divenne cosí un altro “milite ignoto” della Prima guerra mondiale. Lo scrittore non poté dargli sepoltura ma preparò questo epitaffio per la sua tomba:
“If any question why we died, / Tell them, because our fathers lied”. “Se qualcuno si chiederà perché siamo morti, / dì loro: perché i nostri padri hanno mentito”.
Gli dedicò la poesia “If”. Chi non la conosce ha il cuore spento, mai raggiunto e acceso dall’esplosione nucleare di una stella lontana. Nessuno lo attendeva nel proprio deserto in cui è precipitato dall’aereo dei sogni dimenticati, un piccolo principe e una volpe da addomesticare.
Nel 1992 dei resti furono trovati a Chalk Pit Wood, nella periferia meridionale inglese di Norwich. E la certezza definitiva che fossero proprio del figlio di Kipling la si è avuta nel 2010, poco più di cento anni dopo.