«Per la prima volta ebbe consapevolezza della sua anima, una sorte di luce incandescente interna, che la sosteneva, una luce interna immune dalle fatiche dell’esistenza. Trovò un punto di quiete assoluto nel centro di se stessa. Non c’era nulla da fare, solo attendere. Fare cessare il rumore del mondo»

(Isabel Allende)

Nulla da fare, solo attendere: caro lettore, adorata lettrice, non so se sarò in grado di esprimerti quel che mi frulla dentro. Si agitano in me parole come consapevolezza, luce interna, fatiche dell’esistenza, punto di quiete, centro: anima!

Già, l’anima! Non so tu, ma sapessi quanto l’abbia cercata, quanto abbia provato a coltivarla, educarla, affinarla. Per poi dover confessare a me stesso che sono quel che sono, con difetti che da sempre provo a limare e restano là, pur smussati e ancora da smussare e smussare ancora.

Con limiti che non si spostano, per quando sempre sfidati e, sia pure di un millimetro, allargati.

Perché “più libertà”, alla fine, significa solo più campo d’azione. I limiti non vengono mai eliminati: caso mai, solo estesi. Più puoi fare, più sei responsabile di ciò che fai, più regole del gioco devi rispettare. Sei più libero, hai più possibilità. Ma i limiti sono sempre con te. Più grandi di prima. Ampliati, non abbattuti.

Eppure sì, sono assetato di consapevolezza, bramo la luce, adoro la fatica di vivere, amo immergermi nel silenzio, sono un senza centro che al centro di se stesso non ha smesso di anelare.

Sarà tutto questo che possiamo definire anima? E chi lo sa!

Ormai, posso dire di aver studiato abbastanza per intuire che l’importante è imparare a disimparare, è fuggire le definizioni, quelle che dividono, cerchiano e rinchiudono, mancando d’aria.

Mi piace pensare che sia ancora possibile, per te come per me, accogliere una luce interna, in qualunque modo la si voglia definire, e restarne affascinati e rimessi in circolo.

Sì, perché è stupenda la vita, checché se ne dica. Al lordo delle sue ingiustizie e fallimenti, oltre le disperazioni e i tradimenti, persino nel pieno delle malattie e delle morti, quelle dell’anima come quelle del corpo.

Ti prego di non pensare che ardisca scrivere simili follie a cuor leggero: ho visto mio padre morire in una lentissima agonia, ho pregato per la sua morte pur di non vederlo ancora soffrire in quel modo, probabilmente erano più i chili di metastasi che quelli di ossa ad essergli rimasti, eppure non l’ho mai visto così attaccato alla vita e grato e speranzoso fino all’ultimo respiro, quello che gli è servito per dirmi che mi voleva bene: le esatte parole che, per via dell’educazione ricevuta, non era mai stato capace di dirmi prima e che mi ha detto in quel giorno, il suo ultimo giorno, oltre i suoi limiti, nell’istante della consapevolezza.

La stessa consapevolezza che io sto ancora cercando e che ti auguro di non smettere mai di desiderare, mai di attendere. Anche per sempre.

Nel frattempo, uso l’unguento di Brecht e Modigliani. Ma anche la saggezza Zen non scherza.

E lascio da parte il rumore del mondo.

Amedeo Modigliani: «Il tuo unico dovere è salvare i tuoi sogni».

Bertolt Brecht: «Sto lavorando duro per preparare il mio prossimo errore».

Massima Zen: «Più silenzio fai nella tua mente, più sono le cose che riesci a sentire».

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FontePhotocredits: Cristina Cucinotta
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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...