Il Medio Oriente resta attualmente secondario di fronte ad altre crisi. Gli accadimenti in Israele hanno riportato l’attenzione generale sulla regione.

Esiste un’egoistica supremazia messa in atto dall’Occidente, culturale e politica, nei confronti del mondo arabo, la sottovalutazione di un patrimonio millenario, quindi storicamente valido, che spesso viene negato. La stessa locuzione “mediorientale”, che ingloba in un’unica soluzione un mondo fatto da diverse nazionalità e da divisioni religiose, sunniti e sciiti per fare riferimento alla principale, rivela la presunta superiorità dell’eurocentrismo, o forse oggi si potrebbe parlare più di Atlantismo, su quella particolare regione del mondo che spesso viene dimenticata e messa in secondo piano. Tante volte il Medio Oriente è stato usato per gli interessi delle grandi potenze che hanno potuto sfruttarne la sua posizione strategica e le risorse di cui esso dispone. Dal Nordafrica al Golfo Persico nei decenni passati gli eventi hanno goduto di un certo protagonismo grazie all’interesse delle politiche dei due mondi che hanno esercitato lì la loro influenza, sugli stati che facevano parte del mondo non allineato. Questa tendenza a voler tralasciare i problemi di questa regione dalle forti contraddizioni, ma non per questo meno importante, si sta accentuando in questo particolare scorcio storico. Eppure gli eventi che accadono a quelle latitudini, guerre, attentati e cooperazioni internazionali pericolose sottolineano una certa centralità nel panorama internazionale che è stata oscurata dalla guerra in Ucraina, che ha prosciugato tutte le attenzioni diplomatiche dei paesi occidentali che hanno oramai come loro unico interesse quello di arrivare alla pericolosa resa dei conti.

Tanto invece accade da quelle parti.

Alcune guerre decennali restano irrisolte e di difficile compimento, pensiamo alla Siria e allo Yemen, che sono apparentemente uscite dai principali interessi dell’Occidente, ma che sono un’esca succulenta per le potenze regionali.

Anche il conflitto israelo-palestinese, che solitamente riempie le agende dei leader internazionali, è stato messo quasi da parte dall’interesse internazionale, dato per risolto o per scontato, per poi ripresentarsi in tutta la sua emergenza con gli eventi di fine gennaio, quando l’esercito israeliano aveva ucciso dieci palestinesi, diventati subito martiri ed eroi del popolo palestinese. In risposta a questo attacco, erano partiti dalla Striscia di Gaza dei missili, intercettati dal sistema antimissilistico Iron Drone. A ricordare all’opinione pubblica internazionale la gravità della situazione in quella particolare regione dell’Asia, ha avuto seguito l’attentato di Gerusalemme est, all’uscita da una sinagoga, avvenuto durante la vigilia dello Shabbat e nel giornata della Memoria per le vittime della Shoah. Non una semplice coincidenza. L’attentatore, un giovane palestinese di 21 anni senza alcuna affiliazione politica e senza precedenti di terrorismo, è stato poi intercettato e ucciso dalla polizia. C’è stato uno scambio di colpi da fuoco prima che le forze dell’ordine riuscissero a neutralizzarlo. È stata la vendetta, parola che da queste parti risuona sempre roboante, con la quale Hamas ha esultato e rivendicato i martiri caduti a seguito del raid israeliano di Jenin. Alcune ore più tardi, un tredicenne aveva riaperto il fuoco, ferendo due persone.

Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha annunciato misure forti e decise.  Ha parlato di un rafforzamento, capillare, localizzato, con l’invio di armi ai civili e agli insediamenti. Il primo ministro non gode tra l’altro di una buona popolarità nell’ultimo periodo a causa della riforma giudiziaria che ha provocato nel paese diverse proteste.

Abu Mazen, il presidente dell’Autorità palestinese, ha puntato il dito contro Israele per l’escalation.

L’Unione Europea, dichiaratasi sconvolta per gli attentati, ha voluto precisare che “la forza letale deve essere usata solo come ultima risorsa, quando è assolutamente inevitabile per proteggere la vita”.

C’è stata anche la reazione della Russia che ha richiamato alla moderazione.

Chi invece sembra aver avuto un approccio più deciso nei confronti delle rinnovate tensioni nella regione sono stati gli Stati Uniti, prima attraverso le parole del presidente Biden, poi con la visita frettolosa di Blinken che ha invitato i contendenti a non infiammare le tensioni e ribadendo la lotta contro il terrorismo, campo sul quale sono coinvolte le due democrazie, e contro l’aggressività nucleare dell’Iran.

Il Medio Oriente, ad oggi, resta un terreno secondario sullo scenario mondiale e anche la crisi tra Israele e Palestina, seppur sempre attuale e pronta a deflagrare, è stata tralasciata a scapito di altri interessi ed emergenze. La regione potrebbe allargare lo scenario dello scontro in atto, portarlo su un terreno diverso rispetto a quello europeo, in periferia. Se un interesse c’è, trattasi per l’appunto delle strategie e delle alleanze (ad esempio Russia e Iran) che vorrebbero coinvolgere l’area mediorientale in un contesto più ampio e complesso, ma non di primo piano, in nome di una superiorità occidentale mai sopita.