Un film intelligente che usa l’umorismo per far riflettere sui luoghi comuni del popolo

“Cetto c’è, senzadubbiamente” è un viaggio nel tempo e nello spazio, una migrazione al contrario, l’epopea in stile rewind che Antonio Albanese vive nel tormentato tragitto dall’austera Germania (dove l’economia “in nero” è solo colpa del razzismo) alla tellurica Calabria, culla del qualunquemente qualunquismo e tomba di una zia morente al cui capezzale Cetto scopre una terribile e affascinante verità: il Regno delle Due Sicilie, ribattezzato, a ragion veduta, Regno delle Due Calabrie, gli appartiene in quanto erede al trono di un sovrano libertino e di una mater zoccola.

Diretto da Giulio Manfredonia, il film affronta gli stereotipi della nostra era geologica, e non per questo, meno politica. La sceneggiatura dello stesso Albanese e di Piero Guerrera regalano un tocco istrionico ad un plot apparentemente scontato ma che si avvale, in realtà, di un’interpretazione che l’attore lombardo offre con tutta l’esperienza di cui dispone.

Albanese è delicatamente volgare, assetato di potere a tal punto da risultare simpatico non solo agli spettatori ma anche a chi vuole tendergli una trappola. In “Cetto c’è, senzadubbiamente” la commedia sfiora la tragedia, è la finzione applicata alla vita, l’epifania che si traveste nella teofania di un monarca disposto a tutto pur di spaccare un referendum online contro la sopravvalutata Repubblica. Quasi come in “The Truman Show” Cetto svela le carte in tavola, tradimenti prodromici ad una fine annunciata dalla compagna teutonica, un’esecuzione sulla falsariga di quella presente in “Carlito’s way”, un matrimonio di convenienza con l’infanta del Portogallo, uno stuolo di vecchi amici Borboni, anzi barboncini.

Prodotta da Lorenzo Gangarossa, Mario Gianani, Lorenzo Mieli e Domenico Procacci, e distribuita da Vision Distribution, la pellicola celebra il ritorno sul grande schermo di un geniale Antonio Albanese, versatile nelle vesti di un politico, di un re e, persino di un rapper, sulle note di Gue Pequeno ed Emanuele Bossi. “Cetto c’è, senzadubbiamente” è uno specchietto per le allodole, un luccichio che dal suv si dipana lungo i gesti apotropaici e nobili di usi e costumi di gente dal sangue blu, quello che o possiedi o scopri di avere dopo un test del dna di un vero comico.


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Iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Puglia, ho iniziato a raccontare avventure che abbattono le barriere della disabilità, muri che ci allontanano gli uni dagli altri, impedendoci di migrare verso un sogno profumato di accoglienza e umanità. Da Occidente ad Oriente, da Orban a Trump, prosa e poesia si uniscono in un messaggio di pace e, soprattutto, d'amore, quello che mi lega ai miei "25 lettori", alla mia famiglia, alla voglia di sentirmi libero pensatore in un mondo che non abbiamo scelto ma che tutti abbiamo il dovere di migliorare.