“La verità nasce nell’anima che si agita in mezzo al silenzio delle cose”

Non succede spesso che dei contributi alla comprensione critica del pensiero scientifico, cioè non visto secondo visuali ad una sola dimensione o secondo i canoni in voga, vengano dati da figure che appartengono al mondo letterario  in grado di sviscerane alcuni aspetti che magari verranno dopo a maturazione; è raro dunque, ad eccezione di Paul Valéry e Italo Calvino solo per limitarci al Novecento francese ed italiano, vedere un interesse per il sapere epistemologico ed il suo ruolo nel fornire una immagine più appropriata del mondo scientifico. Si è distinto in tal senso lo scrittore colombiano Nicolás Gómez Dávila (1913-1994), famoso per i suoi aforismi scritti tra gli anni ’60 e ‘70, In margine a un testo implicito(Milano, Adelphi 2001); tale figura è più nota  per le sue idee dissacranti sulle creature della modernità dalla scienza alla tecnica, dal capitalismo alla stessa democrazia dopo una non comune analisi delle loro degenerazioni, tale da far dire ad un altro scrittore sudamericano più famoso come García Márquez che “se non fossi comunista, penserei in tutto e per tutto come lui”.

Come ha sottolineato Franco Volpi nella  penetrante presentazione al pubblico italiano,  la sua scrittura è breve ed ellittica ed è frutto di penetranti, taglienti e radicali considerazioni sino ad assumere la forma di vere e proprie sentenze sugli eventi  della vita degli uomini da quelli quotidiani a quelli più significativi, sia di natura politica che culturali che hanno caratterizzato la modernità nel suo complesso. Non potevano non mancare pertanto fra i suoi aforismi veri e propri strali quasi, come dice lo stesso Volpi, ‘schegge provviste di una ‘punta di diamante’ verso la scienza e la tecnica o, per essere più precisi, verso gli uomini di scienza e dei tecnocrati, le loro attitudini, verso coloro che diventano quasi ‘apostoli’ del loro ‘verbo’ sino a farne dei nuovi ‘idola’, idee che non a caso sono presenti nell’Enciclica Laudato sì; invece la scienza, quella vera, viene considerata dallo scrittore colombiano  per principio  piena di dubbi, in quanto non dispensa certezze, come  lo stesso ’oceano’ della fede, anzi a dirla con Federigo Enriques e lo stesso Pirandello, ci consegna ‘visioni del dolore’ e distrugge le false illusioni.

Anche se queste critiche al mondo della scienza  non sono nuove e sono, com’è noto, comuni a molti poeti e scrittori oltre che presenti in vari pensatori di diversa impostazione per denunciarne i cosiddetti esiti ‘antiumanistici’, in Gómez Dávila esse, anche se sono vere e proprie mannaie, sono invece caratterizzate da una vena costruttiva dove viene a giocare un ruolo trainante il concomitante invito alla riflessione epistemologica; anzi ne viene sottolineata la necessità , quasi il potere ‘salvifico’ nei confronti di una scienza quando essa dai suoi stessi protagonisti viene ridotta a merce di scambio, deviata dai suoi binari che sono quelli di aprire varchi di intelligibilità del reale anche se storici e provvisori. Ecco alcuni aforismi che colgono nel segno e che si estendono ai contenuti scientifici, ai loro modi di essere rappresentati e divulgati, alle loro pretese e ai loro limiti:

“Quando la scienza vanta pretese filosofiche, l’epistemologia le rammenta i suoi postulati. Per contrastarne le pretese imperialistiche, le ricorda le sue umili origini. Extra epistemologiam nullasalus”.

“La scienza inganna in tre modi: trasforma le sue proposizioni in norme, divulgando i suoi risultati piuttosto che i suoi metodi, tacendo le sue limitazioni epistemologiche. Ogni scienza si nutre delle convinzioni che strangola”.

“L’enciclopedia scientifica crescerà all’infinito, ma sulla natura stessa dell’universo non insegnerà mai nulla di differente da ciò che insegnano i suoi postulati epistemologici”.

Questi pochi aforismi, che sono vere e proprie gocce di epistemologia, evidenziano alcuni dati di fatto incontrovertibili come le varie forme di neo-scientismo sempre presenti sia in certi ambienti scientifici che presso i mezzi di comunicazione di massa che fanno passare per risultati acquisiti  quelle che sono solo delle ipotesi col creare le premesse di un atteggiamento vetero-positivista, dove la scienza viene vista nella sua veste di verità assoluta e risolvitrice di tutti i problemi, quasi da ‘diavolo tentatore’ per rievocare una immagine biblica fatta propria da Hélène Metzger. Questa polemica  contro lo scientismo imperialista ed il paradigma tecnocratico, o quella che ultimamente Mauro Ceruti ha chiamato l’onniscienza, non è certamente nuova ed appartiene a più tradizioni di ricerca; ma Gómez Dávila si distingue nettamente dalle contemporanee e più sofisticate ‘reazioni idealistiche contro la scienza’, per usare un’espressione dei primi anni del ‘900 di Antonio Aliotta, nel disegnare un percorso di pensiero allargato dove arte, scienza, filosofia, religione si devono confrontare senza che nessuna prevalga sulle altre in quanto ognuna portatrice di un modo diverso di interrogare il reale.

Lo scrittore colombiano non si rifugia, come molti altri, in posizioni contro la scienza tout court, ma assegna alla riflessione epistemologica l’umile compito di ricordarle le sue vere origini,  l’essere con la sua specificità, come altri percorsi, un tortuoso cammino verso il vero come hanno fatto Simone Weil, Hélène Metzger e Pavel Florenskij che, non a caso con altri argomenti, sono arrivati ad analoghe considerazioni tali da sembrare figure anomale, il cui peso e spessore concettuali solo in questi ultimi tempi sono al centro di rinnovati interessi, proprio per la loro capacità di fornire non più risposte unilaterali e semplicistiche a problemi di ampia portata. Non a caso, quasi con le stesse parole di queste figure, il che è indice del fatto che quando si cercano senza secondi fini le rugose ‘ragioni del reale’ si arriva a punti di vista comuni che come tali acquistano un maggiore senso veritativo, Gómez Dávila arriva a dire che “la verità nasce nell’anima che si agita in mezzo al silenzio delle cose”.

Il sapere epistemologico non viene visto, quindi come un freno verso la ricerca scientifica, ma come strumento privilegiato per farle prendere coscienza dei limiti intrinseci che la caratterizzano, come ogni altra impresa umana, per rafforzarla nei suoi propositi.  Gli aforismi dello scrittore colombiano sono veri e propri ammonimenti e nello stesso tempo indicano una strada da intraprendere col mettere sul tappeto questioni scottanti e imprescindibili oltre a gettare nella mischia,  sia pure in maniera ‘implicita’, un tema che solo in questi ultimi anni sta faticosamente entrando al centro della riflessione filosofica, quella della limitazione della conoscenza proprio alla luce del pur considerevole sviluppo scientifico odierno e del concomitante pensiero complesso che fa di questo tema un punto strategico e ineludibile.

Tali gocce di epistemologia, offerteci da uno scrittore che non ha mai nascosto le sue critiche alla modernità e ai suoi valori, possono essere utili per vedere da un’altra ottica il mondo della scienza;  pur provenendo da un uomo con idee dichiaratamente ‘conservatrici’, esse presentano delle sorprendenti analogie   con alcune  considerazioni ancora attuali, ma per lo più dimenticate,  del vecchio e caro Antonio Gramsci, contenute in uno dei suoi Quaderni (su questoil nostro scritto su Odysseo del 27 febbraio 2020, Antonio Gramsci e il problema della comunicazione scientifica); questo conferma ancora una volta che chi indaga onestamente sulle ragioni delle cose ed in questo caso della scienza, indipendentemente dalla posizione ideologica, arriva a volte a posizioni simili  che, pertanto, possono essere maggiormente condivise e lasciate in eredità, come frutto duraturo dell’intelligenza critica al lavoro.


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Mario Castellana, già docente di Filosofia della scienza presso l’Università del Salento e di Introduzione generale alla filosofia presso la Facoltà Teologica Pugliese di Bari, è da anni impegnato nel valorizzare la dimensione culturale del pensiero scientifico attraverso l’analisi di alcune figure della filosofia della scienza francese ed italiana del ‘900. Oltre ad essere autore di diverse monografie e di diversi saggi su tali figure, ha allargato i suoi interessi ai rapporti fra scienza e fede, scienza ed etica, scienza e democrazia, al ruolo di alcune figure femminili nel pensiero contemporaneo come Simone Weil e Hélène Metzger. Collaboratore della storica rivista francese "Revue de synthèse", è attualmente direttore scientifico di "Idee", rivista di filosofia e scienze dell’uomo nonché direttore della Collana Internazionale "Pensée des sciences", Pensa Multimedia, Lecce; come nello spirito di "Odysseo" è un umile navigatore nelle acque sempre più insicure della conoscenza.