Giovanni Giannattasio è un Luogotenente dei Carabinieri, in congedo dal 2010, che ha accettato di rispondere ad alcune nostre domande. Quella che segue è la terza ed ultima parte della nostra intervista.
Dicono che dietro un grande uomo ci sia sempre una grande donna. Quanto è importante per un Carabiniere, e più in generale per un uomo, che decide di schierarsi dalla parte della legge, avere al proprio fianco una compagna disposta a sacrificarsi e quindi ad affiancare, fino in fondo, il proprio uomo?
Quando conobbi mia moglie, da Allievo Sottufficiale alla Scuola di Velletri, e ci innamorammo, la informai sul tipo di vita che avrebbe vissuto al mio fianco. Notti insonni ad aspettare il mio rientro a casa; la consapevolezza che da un momento all’altro sarebbe potuta arrivare una brutta notizia. Tuttavia i trasferimenti, causa servizio, in altre città non le hanno impedito di amarmi e quindi di rimanere al mio fianco.
Avere vicino una donna che non conosce il verbo abbandonare, ma solo il verbo amare, è il massimo aiuto psicologico che un uomo in divisa possa ricevere.
Ricordo che alla proiezione, in prima nazionale, del lungometraggio “H24 poliziotti allo specchio” l’avv. Giorgio Carta rivolgendosi a mia moglie le riconobbe la sua autentica stima per essermi rimasta affianco nonostante ben 13 trasferimenti – e le posso assicurare che non è facile per una donna cambiare casa, abitudini, amicizie – in diverse città.
Oggi molti giovani carabinieri coniugati non hanno questa fortuna ma preferisco non aggiungere altro.
Il lavoro curato dal regista Raffaele Manco: “ H24 poliziotti allo specchio” nasce per dare voce agli ultimi; a chi non ha voce. Ritiene abbia avuto la giusta risonanza?
Ho conosciuto il regista Raffaele Manco tre anni fa e mi propose di realizzare un film documentario sulle forze dell’ordine che perseguisse l’obiettivo di raccontare l’umanità che si nasconde dietro una divisa. Accettai di apportare il mio piccolo contributo alla realizzazione di questa idea.
Il titolo “H24 Poliziotti allo Specchio” trae spunto dal soprannome datomi quando prestavo servizio: “Maresciallo h24”. Il film rifugge la mera polemica e qualsiasi ideologia politica per dare spazio all’aspetto umano, emotivo di chi veste la divisa: non mostra gli scontri di piazza, ma si sofferma su ciò che succede prima di qualsiasi situazione violenta e cerca, senza strumentalizzazioni, di far emergere le responsabilità politiche che si celano dietro eventi eclatanti, si pensi al G8 di Genova.
Il documentario di Manco pone l’accento sulla solitudine di tanti colleghi che svolgono attività sotto copertura o che hanno dovuto combattere il fenomeno inflazionato, all’interno dell’Arma, del mobbing.
Spiace constatare che, nonostante molti addetti del settore abbiano riconosciuto un certo valore e qualità a questo prodotto, lo stesso non abbia trovato risonanza in ambito cinematografico e televisivo. Forse alcune verità sono indicibili?
Lei oggi è un carabiniere in pensione e conseguentemente dovrebbe, come fanno molti Italiani, godersi i suoi figli e nipoti. Cosa la spinge a combattere ancora e a schierarsi dalla parte di chi è dimenticato dallo Stato?
Mi perdoni, un Carabiniere non va mai in pensione semmai in congedo. Il senso del dovere è nel mio DNA perché si è sempre carabiniere. Tutt’ora, non mi tiro mai indietro quando si tratta, ad esempio, di scrivere ricorsi a tanti uomini che non possono permettersi l’ausilio di un legale e mi accontento del semplice “grazie”. Mi anima la volontà di essere utile per i deboli, non potrei vivere la vita del pensionato tranquillo, rischierei di ammalarmi. Non avrei mai potuto chiudere la mia storia d’amore, dopo il congedo, con la divisa perché, se così fosse stato avrei dimostrato a me stesso, e agli altri, di essermi arruolato solo per lo stipendio.
Le racconto un aneddoto. Dopo un anno dal congedo fui contattato dal Comando Generale dell’Arma, in quanto c’era un Generale che, dopo aver saputo la mia intenzione di pubblicare un libro, voleva parlarmi ed io accettai. Quel Generale mi invitò a non infangare, con il lavoro letterario, il buon nome dell’Arma. Risposi a quell’invito, che celava qualche minaccia, dicendo che la verità non distrugge ma semmai pone le premesse affinché vengano superate criticità e si aprano le finestre al vento della ricostruzione.
Quale sogno o, meglio, speranza coltiva per il futuro?
Il mio futuro è già presente. Il mio sogno è quello di continuare a fornire un piccolo ausilio ai miei colleghi, per i quali, soprattutto per i più giovani, sono ancora un punto di riferimento. Sono felice che il mio libro Ne è valsa la pena. Storia di un Carabiniere venga letto da molte persone. Penso che quando mi presenterò davanti a Dio e mi sarà chiesto cosa ho fatto per gli altri potrò rispondere, con molta lealtà, di aver avuto, nel corso della mia vita, un debole: il debole per i deboli.