«È davvero possibile dire a qualcuno come ci sente?»

(Lev Tolstoy)

Quando vai al mare perdi completamente il contatto con gli stimoli simultanei, quelli che ti procurano tensione e stress, gli stessi che hai continuamente al tuo fianco.

Pensa solo a quando sei a casa durante un pomeriggio qualsiasi: guardi il tg, frattanto hai acceso il forno e fatto partire la lavastoviglie. Nella stanza di fianco qualcuno lavora al computer e qualcun altro si sta asciugando i capelli. Tu? Tu niente, nessun impegno preciso, vivi tranquillo e ti siedi a prendere un caffè. Improvvisamente scatta il contatore, va via la corrente: SILENZIO.

Ma, ma, ma… ma eri rilassato, non pensavi proprio di essere in mezzo ad un inferno di rumori non meglio definiti: d’improvviso, la pace!

Ecco, al mare questa sensazione si quintuplica: un’immensa distesa dacqua con pochissimi elementi visibili e semplicemente identificabili, che consentono al cervello di reagire, immaginare, creare, partorire pensieri nuovi, ossigenati. Il mare fa su di te la stessa cosa che fa con l’ecosistema: ti purifica dall’anidride carbonica.

Lì, le tue energie non vengono sciupate dietro a troppi stimoli che ti obbligano, senza chiedertelo, a consumare e a consumarti.

L’effetto immediato del mare è svegliare quella parte del cervello che guida le azioni mentali e cognitive complesse, quelle intangibili: ecco che l’azzurro sfumato, il moto che lo rende vivo, l’orizzonte, sedano il tuo sistema nervoso e ti fanno concentrare sul cielo che si completa con il blu che tocca e ti regala l’idea di una continuità sinuosa senza pari di cui tu, magicamente, sei parte integrante e attiva.

Sei vivo, respiri, sei calmo e i pensieri vorticosi smettono di agitarsi e attenuano il circolo vizioso in cui normalmente vivono e ti fanno vivere.

Ti stai chiedendo, per caso, come mi sia venuto in mente tutto questo?

È solo un momento particolare e oggi mi hanno chiesto perché, fra tutto quello che potrei oggettivamente desiderare prioritariamente, ciò che voglio in primis è: tornare a casa.

Non potevo dilungarmi e così ho detto l’unica cosa che potevo dire, riassumendo all’osso: «Perché a casa ho il mare. Non ci sei nato, per ora non puoi capire. Ma anche ci fossi nato, non avresti potuto capire, se non te lo avessero tolto».


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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.