…eppure sconfitto!

Noi crediamo che il male sia sempre eclatante. Siamo fermamente convinti che le cose brutte siano soltanto quelle che fanno rumore. Certo, alcune cose particolarmente brutte sono anche particolarmente eclatanti. Eppure, la porzione maggiore di male, di cui ogni giorno facciamo esperienza, è connotata da un’assurda banalità.

“La banalità del male” è una splendida opera di Hannah Arendt, che negli anni Settanta partecipò al processo contro uno dei più noti ufficiali nazisti del Terzo Reich, Eichmann. Ella era convinta, come tutti, di dover assistere alle confessioni di un mostro feroce, invece si ritrovò davanti, “semplicemente”, un uomo privo di profondità, di pensiero, di critica, dunque disposto a servire un sistema malato. E allora concluse che il male è banale, non ha radici, né consistenza, ma abita nel vivacchiare, aleggia sulle superfici del parlare e dell’agire, si nutre di luoghi comuni fino ad espandersi in tutti i luoghi, è una falla nella capacità di riflettere, di fare ragionamenti complessi, che salvano dal senso di onnipotenza alla base di molte azioni malvage, manifeste e celate.

Il male è più quotidiano di quanto si possa immaginare: è “accovacciato alla porta”, come dice il Signore a Caino, invidioso di suo fratello. Il male si insinua nei pensieri più ordinari, nelle parole poco pensate, nell’autoesaltazione di chi dimentica la propria finitezza e comincia a considerarsi immortale e unico. Il male si annida lì dove non si discute, non si parla, non si affrontano i problemi, in nome di un torbido pacifismo, nella cancerosa convinzione che il contrasto sia un problema invincibile…e che chi a volte perde la calma sia il cattivo di turno. Il male cresce dove nessuno ha il coraggio di porre limiti: dove un genitore non ha il coraggio di stoppare i capricci dei figli, a qualsiasi età; dove un figlio non ha la forza di arginare l’invadenza e deludere le aspettative del genitore; dove un fratello si impossessa del fratello, perché sotto sotto non è mai cresciuto, non ha mai varcato la soglia dell’idilliaca infanzia. Il male prolifera dove non ci sono ruoli, dove tutti sono tutto e le relazioni sono improntate alla fusione incontrollata; cioè dove i padri e le madri fanno i figli e i figli si improvvisano i genitori, i nipoti diventano i figli mai avuti e gli zii i migliori amici. E magari tra cugini si distendono le ombre dell’emulazione e dell’invidia e si comincia a tollerarsi appena, quanto basta a garantire unioni apparenti.

E così il male regna perché, se in nome dei vincoli di sangue non si stabiliscono i confini, ci si manca di rispetto, si mette il naso nelle case e nelle scelte, non ci si parla apertamente, si trattano gli “acquisiti” come mezzosangue, stranieri, disturbatori dell’unità familiare. È la cultura patriarcale, in cui non l’amore gratuito, il servizio, la bellezza in gesti e parole, ma la comune discendenza dal seme paterno è considerata a-priori garanzia di accordo, rispetto e riverenza assoluta. Che poi diventa possesso degli altri, magari mediante il ricatto morale dei “sacrifici fatti” o il motivo del “sono più grande, ho più esperienza, fai come me”. Che tradotto sarebbe: “confermami, dipendi da me, altrimenti crollo”. In questo sistema non si cresce mai, perché non si abbandona mai veramente la casa del padre e della madre, che non significa disinteressarsi a loro, ma imparare una figliolanza e una fratellanza nuove, in cui la famiglia non è un vicolo cieco, ma una pista di decollo per solcare le proprie rotte. Quanto banale male nelle famiglie per colpa di questa mentalità. Quante ingiustizie. Quanta schiavitù nel nome dei padri, nel nome del sangue.

Questo è il male che mi spaventa veramente. Questo male insulso, spacciato per sommo bene. Questo male banale, che si difende accusando chi lo combatte di “pensare troppo”, di “legarsi tutto al dito”, di “non avere i valori di un tempo”, di “non rilassarsi mai”, di “arrabbiarsi”, di “parlare troppo”. Questo male furbo, che si crede giusto solo perché ha dalla sua parte la maggioranza.

La speranza allora dov’è? Una splendida risposta è contenuta ne Il Signore degli anelli: «Saruman ritiene che soltanto un grande potere riesca a tenere il male sotto scacco. Ma non è ciò che ho scoperto io. Ho scoperto che sono le piccole cose, le azioni quotidiane della gente comune, che tengono a bada l’oscurità. Semplici atti di gentilezza e amore». È questo quotidiano redento il vaccino per tanta, troppa banalità del male.


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