Dal 24 marzo è disponibile in libreria e negli store online “Un Campari a Veracruz”, il nuovo romanzo dello scrittore Gianni Morelli, edito da Morellini Editore.

Dopo “Amori, altopiani e macchine parlanti” (Garzanti) e “Rosso Avana” si completa la trilogia latinoamericana con una straordinaria narrazione intrisa di realismo magico.

Ciao, Gianni. Che ruolo assume il Campari al Bar Mocambo, nel mezzo della Sierra messicana?

Esotico, raffinato, balsamo, panacea, legame.

Perché il protagonista Yani identifica in una limousine bianca l’estenuante ricerca di se stesso?

Per la storia sintetizzata all’inizio: la famiglia trasferita in Messico, la morte del padre, il ritorno in Italia. Era un bambino ma Veracruz gli si è conficcata nel cuore trascinando con sé più domande che risposte. Non poteva non tornare. Forse la limousine bianca è una delle risposte, se non La Risposta.

In una sorta di sinestesia, quali altri sensi, vitali ed emozionali, richiama il profumo Camay?

Morbido ed eccitante, delicato e voluttuoso, gentile e sensuale, tenero e lascivo, candido e rilassante.

Dalla figura della Regina alla città di Juchitàn, quanta forza femminile emerge dalle caratterizzazioni latinoamericane?

In un continente in gran parte maschilista, per tradizione e per definizione, le eccezioni sono poche ma forti, inattese e spesso semisconosciute.

A chi dedichi “Un Campari a Veracruz”?

Per esempio a Paolo Conte, Hopper e Paco Ignacio Taibo II.


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Iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Puglia, ho iniziato a raccontare avventure che abbattono le barriere della disabilità, muri che ci allontanano gli uni dagli altri, impedendoci di migrare verso un sogno profumato di accoglienza e umanità. Da Occidente ad Oriente, da Orban a Trump, prosa e poesia si uniscono in un messaggio di pace e, soprattutto, d'amore, quello che mi lega ai miei "25 lettori", alla mia famiglia, alla voglia di sentirmi libero pensatore in un mondo che non abbiamo scelto ma che tutti abbiamo il dovere di migliorare.