“Leggere è un’esperienza che può coinvolgere profondamente il lettore: quando leggiamo un libro possiamo sentirci nello stesso tempo letti dal libro che leggiamo. Sicché impariamo qualcosa di chi siamo dal libro che leggiamo perché noi stessi in fondo siamo un libro che attende di essere letto”.
(Massimo Recalcati)
È uscito qualche giorno fa un bel testo, che invito i lettori di Odysseo a prendere tra le mani e a leggerlo: “A libro aperto. Una vita è i suoi libri” dello scrittore e psicanalista Massimo Recalcati.
Egli – come ha detto ultimamente in una sua intervista – si sta occupando nella sua vita accademica e professionale degli elementi dimenticati e ormai in via di estinzione come i padri che non sono più tali, i maestri che non mancano, i libri.
È molto interessante il sottotitolo che Recalcati offre: ci saremmo aspettati una “e” congiunzione, invece, egli pone il verbo essere, per sottolineare appunto che non c’è la vita da una parte e i libri dell’altra, ma la vita è informata dai libri che abbiamo a cuore e i libri sono arricchiti dall’esperienza della vita. C’è, dunque, una complementarietà tra libro e vita: la vita entra nel libro e dal libro esce la vita.
Ecco perché Recalcati arriva a scrivere: “leggere significa essere letti dal libro”.
Come sappiamo, leggere non è un esercizio facile, soprattutto quando riguarda le opere autenticamente profonde. Il filosofo inglese del ‘500 Francesco Bacone aveva ragione quando nei suoi Saggi scriveva che «alcuni libri vanno assaggiati, altri inghiottiti, pochi masticati e digeriti».
La lettura saporosa deve avere attorno a sé un’oasi di silenzio, almeno interiore, deve generare meditazione, deve lasciare una traccia nella coscienza prima ancora che nella memoria. A Natale si regalano spesso volumi, purtroppo il più delle volte “inutili” o perché legati al successo del momento, che può solo produrre libri di consumo e di scarso nutrimento, o perché affidati a sontuose strenne che servono più da arredo che da lettura. Bisognerà, allora, scegliere in proprio qualche testo che venga incontro a una domanda interiore, che riporti alla mente grandi idee ed esperienze e che muova la mente e il cuore.
All’interno del suo testo, Recalcati cerca di raccontare che cosa sia un libro. E, rispondendo a questa domanda, afferma che un libro è un corpo, un mare e un coltello.
Il libro è un corpo e non un erbario perché non solo contiene nozioni, descrizioni, ma deve diventare un elemento erotico, che deve non solo dal punto di vista emotivo ed intellettivo commuovere, ma muovere tutta la presenza della persona del lettore.
Recalcati così arriva a scrivere: “C’è bisogno nella lettura non solo della mente, ma della presenza del cuore. Non c’è cuore in chi legge, se chi legge, legge senza cuore”.
Il libro, poi, è un mare perché chiede di essere aperto, arricchito e non tenuto chiuso negli scaffali. Esso è un mare e non un muro (l’immagine di Blake è significativa in questo senso). Il libro può diventare un muro (pensiamo, ad esempio, ai crociati) quando esclude altri libri, quando si chiude in se stesso senza fare esperienza dell’Aperto. Certi libri possono arrivare ad incendiare le anime e ad armare le mani. E così perde il contatto con il mare.
Il libro è un mare di linguaggio, di parole e, più un libro si apre, più si aprono gli orizzonti e si conosce di più la cultura e le culture. È orizzonte che sa andare in profondità anche quando le sue profondità sembrano finire. In ogni testo, cioè in ogni tessuto o trama, c’è un corallo da evidenziare, una conchiglia da aprire, una perla da estrarre, una sinfonia da ascoltare. Il libro è un mare quando sa far navigare o quando fa naufragare, quando fa navigare nelle acque serene delle cose belle della vita e quando getta addosso onde per carpire e colpire la propria parte più dura da estirpare.
Il libro è, infine, un coltello che tocca la mente, tocca il cuore e, lì, si iscrive così tanto da ricordarlo per anni. È il coltello che taglia la vita con la volontà di dargli una forma nuova e distingue la nostra vita da com’era prima a come è diventata dopo.
In un tempo in cui si scrive tanto, ma si legge poco; in un tempo in cui sta sparendo la carta stampata per amore della sola vidiata, abbiamo tutti bisogno di ritrovare l’incontro con il libro, che è sempre – a dire della voce evocata oggi – un incontro d’amore.
Roberto Vecchioni, che ha dedicato molti suoi romanzi alla bellezza e alla incisività che i libri portano nelle nostre vite, così descrive e canta l’incontro d’amore con i libri e le loro parole:
“Così di notte in quella stanza dove mi dimenticavo il tempo,
parole di romanzi e versi come cose da toccare
e al frusciare di pagine mi sentivo volare…
e le parole come musica di seta
mi prendevano per mano,
e mi portavano lontano dove il cuore
non si sente più lontano:
dentro le immagini, nei libri e nella pelle
di chi aveva già vissuto cose tanto uguali a me;
nella follia d’essere uomo e nelle stelle
per andare oltre il dolore più inguaribile che c’è;
e le parole si riempivano d’amore,
le sue parole diventavano d’amore,
le sue parole diventavano l’amore.
Così la notte,
capii che c’è davvero una diversità infinita
tra imparare a vivere e imparare la vita”.
Ci sono libri che insegnano a pensare e altri che insegnano a vivere, diventando così beni transazionali, che cioè vanno oltre le sensazioni per toccare le viscere, gli organi vitali dove nessuno può entrarvi se non noi stessi.
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Il 6 dicembre a Pescara e il 10 dicembre ad andria, non perderti la presentazione di “Lettere a Odysseo”, il nuovo libro di Antonio Del giudice.
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