“Il tentativo di trasformare le persone in vittime permanenti a prescindere dalle circostanze costringe la vittima al ruolo di vittimizzata, che è un’altra forma di violenza, più sottile e pervasiva, perché impone una condizione di passività che preclude la facoltà di riscattarsi”
(Michela Murgia)
Sembra quasi s’illumini di un botto e irradi le circostanze presenti con una luminosità insolita e metta in evidente disagio i canoni della decenza.
Ciò che traspare, dopo aver profanato quel sottilissimo velo di pudicizia, non è messo alla discrezione di chi ne conosce bene il problema anzi, si dà la notizia in pasto ai “cani” che la squartano e, come tale, la divulgano. I più consapevoli rimangono a bocca asciutta e assaporano la polvere che ne resta della sciagura consumata.
Le chiamano “morti bianche”. Non si è ben capito le altre di che colore siano visto il grigiore che qualsiasi morte lascia in chi resta e il clima tenebroso che si viene a formare ogniqualvolta viene a mancare il senso di giustizia a dare risposte chiare e indennizzi certi a chi rimane nel lutto, dopo aver perso un congiunto sul posto di lavoro.
Limitiamoci pure a parlarne di queste morti; apriamone fascicoli e faldoni a non finire; discutiamone quanto ci è possibile; giriamoci intorno e scriviamone le cronache per i curiosi, famelici, eterni cinici del “Quanto mi dispiace!”. Ma facciamo in modo di non lasciare ogni soluzione all’inadempienza delle persone preposte e che, spessissime volte, vengono stoppate e non riescono ad esplicitare il proprio compito poiché si scontrano con spudorati interessi. Cointeressenze esistenti e mai esplicitamente definite. Non rimane che contare e compilar statistiche, come un facente parte di una economia in “definizione” e che non ha uguali in rapporto a ciò che potrebbe rivelarsi se solo i colpevoli pagassero le loro colpe attraverso i vomitevoli, ripugnanti giochi di borsa, come conseguenza alla distrazione di capitali, occorrenti per la sicurezza interna delle proprie Aziende.
L’avidità sembra vada a braccetto con la morte. Sono in due. Solo uno resta avido mentre l’altro si dissolve, muore.
Se un dì la Storia riuscisse a mettere un sigillo positivo a questa situazione, si avrebbe più convinzione sul conto del comportamento etico dell’uomo. Non si può continuare a mescolare le carte da baro e darle, a mano leggiadra, ingannando chi, in buona fede, sta al gioco.
Il problema delle morti sul lavoro va affrontato con molta serietà e determinazione. Una persona che si leva dal letto e si dirige sul posto di lavoro per guadagnarsi di che vivere, per sé e per la propria famiglia, dovrà avere pur la certezza di ritornare a casa e di riabbracciarla.
È un lavoro che si va a svolgere. Non si va al fronte a combattere una guerra, poiché tale sembra con le morti che si avverano ogni santo giorno, tanto che sembra sia divenuta una passiva, pusillanime routine e, come tale, ignorata da coloro i quali non sono ancora toccati da queste disgrazie.
Tra infortuni di una certa gravità e decessi sul lavoro si evidenzia un certo rapporto negativo rispetto ad altri Stati. Questo si spiega solo con la leggerezza con la quale si affrontano certi problemi in Italia? Oppure è da ricercare nella negligenza- strafottenza di chi pensa che il lavoro sia solo un mezzo per guadagnare soldi, e basta? No!
Il lavoro è la base che tiene in piedi, non solo l’economia di un popolo, di una Nazione o del mondo intero ma è un mezzo per tenere insieme le diverse civiltà in un amalgama sia culturale sia di benessere. Il lavoro dà dignità a chi lo svolge in modo, non assoggettato, non remissivo ma con dignità appunto.
Avendo ogni medaglia due lati, bisogna pur affermare che non solo il datore di lavoro è tenuto a rispettarne le regole d’ingaggio del suo personale, ma anche questo dovrà attenersi alle regole di buona collaborazione affinché la prestazione risulti provvida, remunerativa, sicura e promettente per entrambi.
Il rispetto delle regole e il loro fermo mantenimento nell’etica dovuta, darà certamente dei risultati diversi, positivi, rispetto alla ecatombe che si sta verificando ancora. Continua dopo anni di discussioni, di regole non rispettate e di raggiri e spudorati tornaconti che a nulla portano se non ad individuare una intera Nazione, inadempiente. Individua un intero popolo, che dovrebbe essere sopra le righe: ad un insieme di scaltri furbacchioni, con un misero trascorso, ma senza un buon avvenire.
Per non essere sempre in prima fila in questi casi di… malcostume…? Pensare alla tragedia delle “Morti bianche”, a non come una nostra sciagura esistenziale, ma a delle distrazioni di etica comportamentale.
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“Il grembiule”, di Alda Merini
Oddio il mio grembiule
guarda come mi torno indietro
era una bobina di anima
ogni giorno un filo d’amore
ogni giorno quelle ore che mi massacravano
io ogni giorno non ridevo mai
e la sera tornavo così stanca
e vedevo mio marito che mi guardava
e io mi giravo dall’altra parte
ma il mio grembiule era pieno di rose
erano tutti i baci che avrei dato a lui
invece di quello sporco lavoro
non hanno voluto pagarmi
né il grembiule e neanche la vita
perché ero una donna che non poteva sognare
ero una volgare operaia
che in un giorno qualsiasi
e chissà perché
aveva perso di vista il suo grembiule
per pensare soltanto a lui.