Tutti quelli nati intorno agli anni ‘50 e ‘60 l’hanno conosciuto, anzi, per meglio dire, sono stati suoi pazienti. Si chiamava Giuseppe Civita e di professione faceva il medico. Ora, potete ben capire che, all’epoca più che adesso, il mestiere del dottore era qualcosa di eccezionale, una mosca tanto bianca che la sua purezza poteva essere accostata quasi a quella di un dio sceso sulla terra.
Ed il Dottor Civita una divinità lo era per davvero. Di lui mi hanno sempre descritto una personalità scorbutica, ma ironica al tempo stesso. Una sorta di abitante dell’Olimpo, dispettoso ma schietto, una sorta di maschera caricaturale che portava con sé un’innata autenticità.
Un omone, prima di tutto un papà. Le sue spalle imponenti sovrastavano lo sguardo dell’interlocutore travolto da questa montagna di bontà. Buono sì, e non solo a parole. A dir il vero, le parole non erano proprio il suo forte: al ‘’politically correct’’ preferiva un approccio più easy, lasciando la formalità ai libri di medicina che pareva conoscere a memoria. Li reinterpretava snocciolandoli con un linguaggio tutt’altro che forbito. I termini latini, che inquadravano la diagnosi di una certa malattia, erano intervallati da espressioni dialettali che, all’apparenza irrispettosi, miravano in realtà a mettere gli altri a loro agio, sopprimendo sul nascere quella differenza culturale che si creava con una clientela dal bassissimo livello d’istruzione.
Nel suo ufficio, incatramato di nicotina, si respirava un’aria particolare, un mix di Marlboro e serenità tipico di chi si sente invincibile. Il suo amore per la vita era contagioso. È stato, probabilmente, l’antesignano della cultura new age, applicando per primo le teorie mantriche secondo cui il pensiero fosse unitamente causa e cura dei nostri mali.
Giuseppe Civita è stato più di un medico. Per i nostri nonni ha incarnato la speranza di eterna giovinezza con metodi naturali e la natura lo aveva reso forte, proprio come suo figlio Michele, il ragazzo più divertente che abbia conosciuto, lo giuro: su Ippocrate, ovviamente!


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Iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Puglia, ho iniziato a raccontare avventure che abbattono le barriere della disabilità, muri che ci allontanano gli uni dagli altri, impedendoci di migrare verso un sogno profumato di accoglienza e umanità. Da Occidente ad Oriente, da Orban a Trump, prosa e poesia si uniscono in un messaggio di pace e, soprattutto, d'amore, quello che mi lega ai miei "25 lettori", alla mia famiglia, alla voglia di sentirmi libero pensatore in un mondo che non abbiamo scelto ma che tutti abbiamo il dovere di migliorare.