La guerra israelo-palestinese risveglia la quiescenza del terrorismo islamico e accende il Medio Oriente
Era una sonnolenta mattina di gennaio del 2015 quando un gruppo di musulmani colpì, nel nome di Allah è grande, la sede del giornale satirico Charlie Hebdo, causando venti morti e ventidue feriti. Dopo anni di quiescenza il terrorismo islamico fece il suo ritorno nel cuore dell’Europa attraverso lupi solitari affiliati a Daesh, all’ISIS per intenderci, che affondarono i colpi su un centinaio di martiri civili che avevano pensato di vivere una serata di svago ascoltando della musica in un locale, il Bataclan, e fecero sospendere l’amichevole Francia Germania.
Anche il Belgio aveva conosciuto la paura degli attacchi nel 2016, avvenuti nei centri nevralgici della Capitale, alla stazione ferroviaria di Maelbeck e all’aeroporto internazionale. Poi ci fu l’attacco sul lungomare di Nizza nella festa insanguinata della Repubblica francese nel 2016 e l’attacco al concerto di Ariana Grande a Manchester. Tutte azioni compiute in nome dei fratelli musulmani, dei fedeli di Allah.
Lo scorso 16 ottobre il terrore è tornato a fare breccia in Europa, con feroce puntualità, come reazione a ciò che sta avvenendo in Terra Santa. Un uomo sulla quarantina ha seminato il terrore a Bruxelles uccidendo due svedesi nel giorno in cui era in programma Belgio Svezia. Scenario già noto. Il killer aveva agito “per vendicare tutti i fratelli musulmani” feriti nel loro orgoglio. Non a caso, da mesi in Svezia è in corso una campagna anti islam che si è concretizzata nell’accensione di copie del Corano nelle varie città svedesi, avvenuta a più riprese e che ovviamente ha dato vita ad una protesta verbale da parte degli Stati islamici, Turchia su tutti, che ha parlato di “vilipendio inaccettabile”. L’insofferenza degli islamici, che hanno come estrema reazione la modalità del terrorismo, è la stessa degli ebrei, vittime di un crescente antisemitismo. Chi è solito leggere i quotidiani francesi, può aver ravvisato un crescente ritorno dell’odio nei confronti degli ebrei che vivono Oltralpe e che mai come ora potrebbero divenire il principale obiettivo degli attacchi. Se c’è qualcosa che questo conflitto può mettere diabolicamente in atto è il riaffacciarsi ad una strategia del terrore, senza confini, un’ipotesi per nulla remota, al punto che alcuni paesi europei hanno riattivato i controlli alle frontiere Schengen, come ha fatto l’Italia al confine con la Slovenia.
Sembra solo l’inizio della guerra che si è scatenata tra Israele e Hamas. Inutile dire che siamo di fronte a quella che potrebbe essere una resa dei conti in una regione che dal 1948, anno della fondazione dello Stato di Israele, non conosce pace. I fatti sono improvvisamente precipitati con l’attacco che ha messo sotto tiro Israele, il quale sta preparando un’offensiva via terra nella Striscia e che intanto ha intensificato i bombardamenti su Gaza. Tralasciando l’aspetto militare, la politica mette in evidenza la solidarietà rinnovata dei popoli arabi che si sono ritrovati attorno alla questione palestinese, con alcuni competitors regionali, Iran su tutti, che minacciano da tempo di voler annientare Israele, che avverte a sua volta Teheran che l’attaccherà se nel conflitto dovesse Hezbollah dovesse aprire un nuovo fronte.
Gli Stati Uniti e i Paesi europei hanno espresso il loro appoggio a Israele, ma in Occidente non sono mancate manifestazioni di piazza nei confronti dei palestinesi. Ogni crisi di politica internazionale ha la sua complessità, ragione che ha portato Biden a suggerire la più alta prudenza a Netanyahu, invitandolo a non compiere gli errori commessi dagli Stati Uniti vent’anni fa nelle guerre in Medio Oriente. Una sorta di mea culpa per le strategie americane di quel periodo. È una guerra che si combatterà su due fronti, quello all’interno dei Paesi occidentali che dovranno sventare la minaccia di attacchi terroristici, e l’altro sul campo militare. Noi occidentali abbiamo perso la capacità di andare a riflettere sulle ragioni profonde delle crisi internazionali , quelle ragioni che hanno portato allo scontro tra Russia e Ucraina ed ora in Terra Santa e che potrebbero portare a innescare conflitti secolari in altre parti del mondo. Soffriamo di una sorta di miopia che non ci consente di comprendere a fondo l’evolversi delle situazioni, una patina di superficialità che ha portato il consigliere per la sicurezza nazionale USA Jake Sullivan a fare queste dichiarazioni, solo pochi giorni prima dell’inizio della crisi: “La Regione è più tranquilla oggi di quanto lo sia stato negli ultimi due decenni”. Facile credere che un accordo tra le parti sia, se non impossibile, improbabile e che le guerra sia la naturale deriva. Prepariamoci, ahinoi, a riconsiderare inoltre la minaccia terroristica, ben più insidiosa dei cyber attacchi russi ai nostri siti internet, perché nel nome di Allah Akbar molti potrebbero prendere le parti dei fratelli musulmani, così come hanno già fatto alcuni nel recente passato.