A cosa è servito elevare la Scienza a religione?

Non si è soliti andare contro corrente in quanto per farlo è necessario ambire al libero pensiero. È certamente più semplice, comodo e rassicurante lasciarsi trasportare da un flusso di idee precostituite commentandole in modo conformista trovando così conferme al comune modo di accettare il sentito dire.

Peccato che la direzione intrapresa da almeno 250 anni a questa parte sia un percorso con sì molti vantaggi, ma che nascondono e rimandano il saldo di un conto (salato) che comunque sia è destinato, prima o poi, ad essere presentato mettendoci di fronte alle nostre responsabilità.

Viviamo nella società della tecnica: la mattina la sveglia elettronica emette dei suoni al fine di svegliarci. Scaldiamo il latte con il forno a microonde, o prepariamo il tè utilizzando il bollitore. Tostiamo il pane con il tostapane e vi spalmiamo sopra confetture preparate industrialmente tramite macchinari sempre più tecnologici. Usciamo di casa utilizzando l’automobile per spostarci dal punto X al punto Y. Approfittiamo di computer, smartphone e tablet per lavorare, tenerci informati e godere del tempo libero.

Eppure, tutto questo era inimmaginabile fino a 80 anni fa. Come facevano i nostri nonni a svegliarsi, a fare colazione, a spostarsi camminando o utilizzando la bicicletta, a lavorare, a rimanere informati e a trascorrere il tempo libero accettando infine l’arrivo della sera andando a letto quando faceva buio?

Beato quindi il nostro tempo seppur, visto da un’altra prospettiva, potrebbe apparire anche come una gabbia dorata, un percorso obbligato intrapreso a folle velocità, una galleria unidirezionale alla fine della quale, anziché un’uscita condita da luce, troveremo un robusto e spesso muro di mattoni e cemento. E ce ne dichiariamo persino consapevoli. Questi ultimi anni sono stati infatti caratterizzati da una crescente attenzione verso lo stato di inquinamento del nostro pianeta. Dobbiamo salvare il mondo tramite una rivoluzione verde e a tal proposito molti paesi evoluti ed industrializzati hanno creato dei ministeri nel tentativo di agevolare la transizione ecologica. Tutto questo perché non c’è più tempo, anzi, forse è già troppo tardi.

Ma come siamo arrivati a questo punto? Chi ci ha guadagnato? Di chi è la colpa? Della scienza? Della tecnica? No, la colpa si deve attribuire all’essere umano in quanto scienza e tecnica non posseggono potere decisionale mentre la responsabilità deve essere ricondotta a chi decide.

Gli adulti, dunque, si sono comportati da bambini monelli ed egoisti mettendo le nuove generazioni nella condizione di doversi impegnare sin da ora per supplire alle mancanze dei loro genitori. E allora forza ragazzi, tutti in piazza, protestate, avete ragione voi, nessuno vi può fermare, saltate la scuola (possibilmente di venerdì), diamo la colpa ai politici, alle lobby, agli interessi della finanza, e chi più ne ha più ne metta. Poco importa poi se i vostri genitori continuano a pregarvi di ricordare, lasciata una stanza, di spegnere le luci che immancabilmente rimangono accese nelle nostre belle e confortevoli dimore. Per fortuna quello che accade nelle case, una volta chiusa la porta di ingresso, nessuno lo viene a sapere. Per fortuna viviamo nel mondo delle apparenze e tramite i social possiamo fingere di essere perfetti e immuni al compromesso, almeno fin quanto lo desideriamo.

Avanti dunque, coniamo slogan che ci diano un tono, un’identità, che ci donino un porto sicuro ove sia possibile delegare anziché agire. Ripetiamo tutti in coro: “Fidiamoci della scienza, la scienza ci salverà!”.

Sembra che la scienza sia divenuta il nuovo Messia, l’uomo forte, il duce di cui abbiamo bisogno e al quale chiniamo la testa sacrificando la nostra libertà di pensiero in quanto non esiste altra via: solo lei può risolvere i nostri problemi.

Ma la deresponsabilizzazione del singolo è un comodo malinteso. Troppo spesso, infatti, si dimentica che la scienza è ‘solo’ la teoria della tecnica, e che è proprio di fronte alla tecnica che deponiamo le armi del libero discernimento lasciandoci sedurre e corrompere dalle sue confortevoli innovazioni. Se così non fosse ricorderemmo che la scienza è fondata sul dubbio, sull’errore e sulla consapevolezza della propria finitezza. La scienza non può insegnarci cos’è la realtà, e neppure cos’è l’Uomo, né tanto meno come renderlo felice. La scienza è consapevole di essere un Re monco, e ce lo ripete in continuazione. La tecnica invece ci loda, tenta e seduce senza sosta confermando che possiamo fare tutto, come fossimo un Dio.

Eppure, nonostante la semplicità e condivisione dei contenuti esposti, da diversi decenni la formazione scientifica prevale in modo autarchico sulle altre senza considerare che una nave priva di bussola è destinata alla deriva. L’Uomo deve riprendere il suo posto al centro dell’universo, almeno di quello conosciuto. Deve tornare ad essere fine, al costo di impoverirsi materialmente. L’eccesso dovrebbe sì essere ammesso, ma a patto che il suo prezzo sia ben in vista imponendone il rifiuto responsabile.

In questo senso le scienze umane sono fondamentali: dobbiamo rivalutare, riabilitare e dare il giusto peso agli studi umanistici da troppo tempo svalutati, derisi, giudicati inutili e con limitati sbocchi professionali.

A cosa è servito elevare la Scienza a religione? I miracoli della tecnica ci hanno corrotto convincendoci che fosse vantaggioso adorare questo vitello d’oro seppur, prestando attenzione al Dio anziché al miracolo, la Scienza ci ripete in continuazione che lei da sola non basta, che non può fornire le risposte che andiamo cercando: la scienza è umile, la tecnica violenta.

Sarebbe quindi auspicabile, e forse addirittura essenziale, la realizzazione di un umanesimo nuovo per comprendere la scala delle nostre attuali priorità esistenziali. Peccato solo che lo studio delle scienze umane sia stato relegato ai margini della società, proprio nel momento in cui ne avremmo maggiore bisogno. Urge allora un cambio di direzione: è necessario tornare all’Uomo e ai suoi diritti fondamentali, esigendo un’inversione di marcia, in quanto il muro di mattoni e cemento appare in rapido avvicinamento, così come lo schianto.

Simone Lattanzio


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Nato a Varese nel 1978, si laurea in Ingegneria Biomedica presso il Politecnico di Milano. Consegue un Dottorato di ricerca in Fisiologia Sperimentale e Clinica, per poi lavorare nel campo privato del settore biomedicale. Padre di quattro figli, vive felicemente sposato in provincia di Varese. Si interessa alla divulgazione scientifica, alla filosofia e al teatro applicati alla libertà di pensiero. Alcuni suoi articoli ed estratti sono stati pubblicati su Odysseo, Societalibera, Teatro Contemporaneo e Cinema, Corrierenazionale, Theworldnews, Nuovogiornalenazionale, Stampaparlamento, ildenaro, Corrierepl, Pensalibero, Politicamentecorretto, 247.libero.it, twnews, Glonaabot, Progetto-radici, Journal of Biomechanics, The Journal of Physiology, Eurointervention, Acta Anaesthesiologica Scandinavica.

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