«I’ mi son un che, quando 
Amor mi spira, noto, e a quel modo 
ch’e’ ditta dentro vo significando»

(Purgatorio XXIV, vv.52-54)

È ancora Forese Donati che si accompagna a Dante in questo canto ventiquattresimo in cui, in maniera speculare, viene prima annunciata la beatitudine della sorella Piccarda, tanto bella quanto buona, e poi il triste e prossimo destino del fratello Corso, reo di aver strappato Piccarda al convento per un matrimonio a scopo politico con un esponente dei Guelfi Neri.

Con Piccarda ci incontreremo nel terzo del Paradiso. Qui Dante, dopo aver accennato agli ecclesiastici e agli aristocratici che hanno ecceduto nel peccato di gola – sono citati un papa, Martino V, e l’arcivescovo di Ravenna, Bonifacio Fieschi – si sofferma nella descrizione del suo incontro con Bonagiunta Orbicciani da Lucca, esponente della scuola poetica siculo-toscana.

Seguiranno il commiato da Forese, l’arrivo al secondo albero i cui frutti non posso essere colti dai golosi, esempi di gola punita e infine l’incontro con l’angelo della temperanza che, con tocco lieve, cancella la sesta P dalla fronte di Dante.

Ma è allo scambio di battute con Bonagiunta che intendo tornare, perché è qui che troviamo l’espressione «dolce stil novo» (v.57), attestata solo in questa circostanza e passata poi a definire la corrente poetica iniziata da Guido Guinizelli e alimentata dai versi di Dante medesimo e di Guido Cavalcanti.

Il nostro viandante, che pure con la Vita nuova e ancor più con la Commedia, è andato oltre l’esperienza stilnovistica, non sembra qui voler prendere le distanze dalla produzione amorosa giovanile e si abbandona ad una confessione che ha il valore di dichiarazione d’arte poetica:

«I’ mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch’e’ ditta dentro vo significando»

(Purgatorio XXIV, vv.52-54).

Ovvero: io sono uno che, quando l’Amore mi ispira, prendo nota e trascrivo lettera per lettera ciò che nel cuore mi detta.

Rileggendo questi versi a cui sono affezionato, ho pensato ai tanti messaggi che oggi vengono postati sui più disparati canali social: brevi, striminziti, non necessariamente rispettosi dell’ortografia e – soprattutto – quasi sempre frutto di “copia e incolla”.

Mi pare di averlo già scritto: non ho nulla contro i social. Come sempre, reputo che lo strumento sia di per sé neutro; quel che fa la differenza, è il suo utilizzo.

Il fatto è che altro è scrivere d’amore sotto “dettatura del cuore” e altro è copiare da raccolte di aforismi o da bacheche di semisconosciuti che chiamiamo “amici”.

“Rubo”: ho letto più di una volta questa frase tra i commenti di un post. Non mi meraviglia: leggeva “col rampino” anche Giovan Battista Marino. Ma che triste che non si sappia dire o scrivere per moto proprio una parola d’amore. Che peccato che il “dettato d’Amore” si riduca troppo spesso ad un copiato: e neanche fedele!

Vabbè, chiedo venia. Trattasi di nostalgie di un romantico inguaribile, prossimo alla mummificazione. Anche se, a onor del vero, spesso mi sento più entusiasta e fresco di tanti giovani vecchi che mi capita di incontrare. Tipo Corso Donati.

Gesualdo Bufalino: «Innamorarsi è un lusso, chi non può permetterselo finge».

Charles M. Schulz: «Tutto ciò di cui hai bisogno è amore. Ma un po’ di cioccolata, ogni tanto, non fa male».

William Shakespeare: «È tutta colpa della luna, quando si avvicina troppo alla terra fa impazzire tutti».


FontePixabay liberamente modificato da Eich
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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...

4 COMMENTI

  1. Scrivere sotto l’impero di un afflato amoroso o di una spina lacerante è sempre frutto di passione… l’oblio, l’indifferenza, il deserto del cuore non muove la penna, ne’ tantomeno il pensiero. Scrivere è riscrivere è invece un atto di umanità vera, di un affetto che matura con la riflessione su quanto scritto, una rivisitazione di un impulso che freme di essere trasformato in parola d’inchiostro, per non sparire come i like su un post… pensiero che si fa parola, come il Verbo che si fece carne.

    • Mamma mia, che volo! Dal dettato d’Amore …al Verbo che si fece carne! Vertiginoso! Grazie, Emanuela!

  2. Condivido in pieno le parole di Emanuela e aggiungo che spesso e volentieri si è più propensi a “copiare” perché non si è più in grado di “ascoltarsi”, di “sentire”. Presi nel vortice di una società che va sempre più veloce e che premia tanta superficialità e apparenza, lo scrutare i dettami del proprio cuore sembra quasi impossibile. Vivere appieno è “comprendersi” per poi accogliere l’altro…ma tutto questo sembra un paradosso, una bizzarria quasi, quando, invece, basterebbe una semplice parola spontanea…

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