«Il problema più importante, quello della morte, è trattato sempre e solo da incompetenti. Non conosciamo il parere di nessun esperto»
(Francesco Burdin)

Quand’è il momento di sentirsi grandi? Da cosa lo si capisce? C’è qualcosa che cambia?

L’altra notte ho fatto un sogno: in quella realtà parallela, esteticamente identica alla nostra, quando i medici dichiaravano la morte cerebrale di un paziente, anche se si fosse ripreso, non avrebbe avuto scelta: gli sarebbero state concesse ventiquattro ore per salutare tutti, trascorse le quali avrebbe dovuto presentarsi, con i suoi piedi, al cimitero; per essere anche sepolto vivo, immagino, ma non lo so con certezza, perché questo il sogno non me lo ha rivelato.

La scena principale mi vedeva star male a causa di qualcosa al cuore, i medici scrivevano quella diagnosi dandomi per morta, io però poi mi rimettevo in sesto e lì mi capacitavo del tempo rimanente, delle ventiquattro ore: nemmeno per un istante ho avuto paura della sepoltura. Sarà per questo che non so dirvi come potesse funzionare quell’aspetto.

Ciò che mi terrorizzava era dover salutare i miei figli, pur stando benissimo. Loro sapevano nulla dell’accaduto, mentre io sapevo di non avere tempo per salutare proprio nessuno; così andavo dal più piccolo dei miei figli (che è alto quanto me), mi inchinavo su di lui che era steso su un divano e lo prendevo al petto come fosse un neonato: “Thomas mamma, mi raccomando, qualsiasi cosa accada. Mi raccomando”. Solo questo… e poi mi ritrovavo nel giardino di quell’ospedale, dove avevo radunato tutte le mie possibili conoscenze, tutte: volevo mi aiutassero a fare qualcosa, fare in modo che quel documento fosse dichiarato falso, trovassero una scappatoia perché io non dovessi andare al cimitero.

Non volevo in alcun modo lasciare la vita da viva.

Mi sono svegliata, era buio pesto, ho capito che era un sogno, ma non ho trovato subito pace: ci ho messo un po’ a realizzare che nel mondo reale solo i morti sul serio finiscono in una tomba e lasciano i propri affetti. Quando l’ho focalizzato ho sorriso e mi sono riaddormentata.

Ho raccontato questo film ad almeno tre, quattro persone, ma a differenza di altri sogni, questo non mi molla; in più, ogni volta che arrivo al punto in cui parlo con Thomas, un macigno mi attaglia il petto, perdo concentrazione, sento la testa andare in fumo. È successo anche adesso: forse la segreta speranza sta proprio nel raccontarlo scrivendo. Tante volte scrivere mi ha salvata: fosse anche questa un’occasione.

Ebbene no, che io sappia non sono ammalata, non ci sono le ore contate per qualche ragione visibile a mettermi ansia, non avevo nessuna ragione evidente per elucubrare una pellicola del genere e, per quanto ci abbia pensato, non ho trovato ragioni evidenti che mi conducessero ad un perché.

Dunque, credo che forse sia questo: si diventa grandi quando qualcosa inizia a far sentire il rumore della sabbia che scende nella clessidra, sarebbe un po’ presto, eppure ha iniziato.

E così ho riflettuto: nessuno dovrebbe permettere alle sue paure o alle aspettative che ripone negli altri di intralciare il proprio destino. E il destino non si può cambiare, ma si può sfidare: oserei dire che si deve sfidare, perché ogni uomo nasce come tanti uomini, ma muore come uno solo.


FonteFoto di Jukan Tateisi su Unsplash
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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.