«La saggezza ha le sue radici nella bontà»
(Ralph Waldo Emerson)
– Non riesco a dormire, le disse.
– E datti cinque minuti di tempo, rispose.
– Cinque minuti sono sfuggenti, sentì controbattere e dopo un brevissimo silenzio, ancora.
– Non so neanche perché l’ho detto, sentì concludere.
Una conversazione che poteva sembrare ad effetto, magari studiata a tavolino per essere scritta da qualche parte con lo scopo di riscuotere consensi, in un qualche testo ben argomentato.
E invece si trattava di uno scambio di battute estemporanee fra un adulto di quarantatré anni ed un bambino di dieci.
Bambino…
Naturalmente il minorenne era quello dei minuti sfuggenti e, con loro, dei modi amorevoli e dei pensieri gentili.
Gentili…
Suo fratello maggiore, la sera prima, aveva detto alla mamma di amarla perché gli aveva concesso mezz’ora in più prima di dormire. Il piccolo gentile? Già, il piccolo gentile senza nemmeno cambiare posizione si entra intromesso ed aveva sottolineato seccamente e consciamente al fratello:
– Dovresti amarla a prescindere.
Bambino gentile, esatto. Bambino gentile e tagliente. Appunto. No, perché la bontà vera-vera-vera è affilata-tagliente-affilata, nel caso fosse sfuggito.
Già, quel bambino aveva questo in sé: la gentilezza. E con la gentilezza, la bontà, espressa costantemente a suo personalissimo modo. Non si faceva assoggettare, non si adeguava, non contravveniva alle regole, ma mai le accettava di buon grado per il solo fatto che fossero state imposte.
Predisposto all’interiorizzazione, prendeva per buono tutto quanto rispondesse ad un ragionamento che per lui avesse un senso: oltre quello, non si poteva andare. I suoi no erano No ed erano tanto rari, quanto invalicabili. A maggior ragione perché erano stati assaporati, masticati, ingoiati, digeriti.
Come i suoi Sì, in numero notevolmente maggiore, ma sempre naturali, saggi, ponderati.
Un personaggio atipico, un rivoluzionario senza rivoluzione, reazionario senza bile, sereno senza appiattimento, quasi risolto.
Gli avevano visto fare cose inarrivabili con la bontà d’animo: cose di cui, chiaramente, non si rendeva conto. Almeno non subito: perché quando aveva offerto qualcosa nell’unico modo che conosceva, ovvero gratuitamente, ed aveva ricevuto in risposta un pianto dirotto di commozione, allora sì che aveva capito. E che aveva fatto? Aperto le braccia in segno di consolazione. Pure! Consolava chi era caduto al tappeto, distrutto dalla gentilezza.
Il bambino della concordia, il decenne della pace, il piccolo della fermezza e della determinazione: naturalmente un “Disturbo Specifico dell’Attenzione”: mi piacerebbe fosse del tutto inutile specificarlo, ma ho il sospetto non lo sia.
Ci si aspetta in modo troppo fisiologico che certi personaggi rispondano necessariamente all’incarnazione di non so quale presunto archetipo di perfezione, dimenticando che Leopardi era storpio, Beethoven era sordo, Michelangelo, Mozart e Newton erano possibili Asperger.
Di quel bambino, intanto, non si poteva sapere altro. Era in corsa: certo si poteva sperare non subisse l’inesorabile processo di mutazione, riuscendo a mantenere tutto quello che era, senza farsi deturpare dagli assetti societari che avrebbero rischiato di renderlo il solito stereotipo dei contorni, predisposto alla sottomissione arrendevole ed inconsapevole, controllato.
Pregare affinché continuasse a far parte di quel piccolissimo gruppo di esseri umani che sono “difetti di fabbricazione”: sfuggiti al controllo qualità della linea di produzione; pochi, eretici, guerrieri.
Era un difetto di fabbricazione? E chi può dirlo: io, personalmente, me lo auguro.
Non fosse altro che per un motivo: è mio figlio. E ogni santo giorno mi insegna a stare al mondo.