Ho incontrato il Conte Onofrio Spagnoletti Zeuli nella sua tenuta di San Domenico contornata da filari immensi di uva e rose rosse e bianche come i suoi vini. Immerso nel suo studio fatto di libri e targhe e storia viva l’ho ascoltato mentre la persona e il personaggio si fondevano.
Imprenditore, politico, agricoltore, ciò che ha fatto è ben noto. Mi dice cosa avrebbe voluto fare?
Sono stato politico prestato alla politica per soli due anni dopo tangentopoli accettando l’invito di Tatarella. In realtà sono un imprenditore contento di esserlo. Amo la mia terra, ho scelto di vivere in campagna di conseguenza. Avrei potuto suonare, avrei potuto continuare con l’equitazione agonistica ma ho risposto alla chiamata di mio padre che mi voleva in terra di Puglia e posso dire di aver fatto bene.
Ha visto negli anni la tecnologia trasformare le colture. Penso nella fattoria di Orwell dove gli animali scacciano gli uomini. Dove stiamo andando? Pioverà a comando un giorno? Chi o cosa raccoglierà le olive?
Guardi io ho cominciato con l’aratro tirato dal mulo e contadini chini e sacchi di iuta. La paura che la tecnologia stravolgesse tutto ha sempre seminato panico. E invece a breve vedrò, ne sono certo, trattori senza guidatori e i satelliti e i droni mapperanno gli appezzamenti per stabilire le condizioni e le concimazioni. Piuttosto che temere il progresso spero che i giovani tornino a questo lavoro stupendo. Lavoro che oggi è fatto di tanto, di tecnologia e sfide sempre nuove e il tutto all’aria sana di campagna.
Su una targa di un suo albero ho letto che il vino è l’anima della poesia. Chi declama nei suoi vini?
Tutte le persone che si adoperano perché sia un ottimo prodotto. Eco sostenibilità, rispetto dell’ambiente è vero ma ancora dipendiamo spesso da fornitori esteri e andiamo in panico se scarseggia una fonte di energia. Abbiamo invece un patrimonio ricchissimo assolutamente da valorizzare e il momento è proficuo anche per auto fornirci.
Mi dice com’è essere il Conte Spagnoletti Zeuli?
Più che a me penso con orgoglio al mio casato che tanto ha dato e ha ricevuto dalla città di Andria. Con la riforma Mussolini e la riforma fondiaria abbiamo ceduto terreni. Ricordo quando nel 1945 siamo fuggiti dal palazzo di notte. Tanta storia. Adesso sono Cavaliere del lavoro per mano del Presidente della Repubblica Napolitano. E questo mi onora.
Mi lasci con un’immagine. È sera, cosa versa nel suo calice?
Cambio spesso. Questo è momento di un buon rosato fresco. Il 23 settembre, nome dell’ultimo nostro imbottigliato, uva di troia in purezza, premiato a Bruxelles, va benissimo con un camino acceso.
Ho salutato il Conte dicendogli che mio padre, non facendo più da sé il vino, compra solo il suo. Ha sorriso fiero che i riscontri di chi la campagna la vive da sempre sono i più ostici ma pure i più veri. Figlio del sud, consapevole che la terra è la vera ricchezza. Che se ci sono frutti in agricoltura, gira il commercio e tutto si evolve. Il Conte è un giovanotto con gli occhi al futuro. Dove gli allevamenti dovrebbero essere incentivati, perché gli animali completano le molteplici colture che tutto il mondo ci invidia. La nostra fantastica biodiversità! Dove tanto c’è da fare per vivere di turismo e mostrare un territorio ancora intonso.
Ho seguito il filare di cipressi e i pumi rossi come frutti rossi e sono uscita a malincuore da quell’oasi di pace. Adesso anche il mio calice si riempirà meglio. Ed è un inno assoluto alla bellezza della nostra terra e a chi la ama incondizionatamente!