Non solo arti marziali…
Il cinema cinese non è molto popolare in Italia. Probabilmente i film più noti sono quelli di arti marziali, con Bruce Lee e Jackie Chan, star del cinema di Hong Kong, ma alcuni conoscono anche i film di registi come Zhang Yimou, Jia Zhangke Wang Jiawei (o Wong Kar Wai, stando alla pronuncia cantonese, visto che anche lui è hongkonghino), dato che molti dei loro film sono stati doppiati in italiano.
Fare il regista in Cina non è come farlo in Italia, dove al massimo la censura colpirebbe film apologetici del Fascismo o del Nazismo, o pellicole troppo blasfeme; in Cina le maglie della censura sono ben più fitte, e non sono pochi i casi di parti di pellicola tagliate per motivi politici, o per eliminare scene di violenza e di sesso se ritenute inopportune. La censura può riguardare solo qualche scena (emblematico e quasi un gioco di parole è il caso della censura di un solo ma significativo minuto di pellicola dell’ultimo lavoro di Zhang Yimou intitolato “One second”) ma anche film interi, che trattano temi sensibili per il governo e l’opinione pubblica, dato che in Cina spesso è malvista qualunque opinione che possa creare discordia o minare il sentimento patriottico di unità nazionale. Questo però non vuol dire che non si possano produrre film di alto livello anche in questa situazione, e non mancano film apprezzati anche a livello internazionale per la loro qualità.
Certo, i film che vanno per la maggiore in Cina sono quelli comici, d’amore, d’azione e patriottici, ma ci sono anche film che parlano di problemi sociali, fino ad arrivare a vere e proprie critiche alla società, anche se magari non direttamente al partito o al governo.
Io personalmente di film cinesi ne ho visti molti, alcuni pessimi, altri passabili, altri ancora davvero ben fatti, ma non potendo elencarli tutti, in questo articolo vorrei provare a suggerirne tre per me significativi e meritevoli di essere guardati per provare a comprendere un po’ la società cinese. Riporterò il titolo in inglese, in quanto titolo internazionale, e tra parentesi quello originale in cinese.
Rimanendo in tema di critiche sociali, il primo titolo che vorrei raccomandare è “Dying to survive” (Wo bu shi Yaoshen 我不是药神) del regista Wen Muye, che è stato un grande successo al botteghino nel 2018. È un film in cui si parla del problema dell’altissimo costo delle cure in Cina, soprattutto per i malati di cancro e leucemia, e racconta di un uomo che comincia a contrabbandare farmaci a basso prezzo provenienti dall’India, all’inizio soprattutto per il suo profitto personale, ma in seguito ciò per lui diventa una vera e propria missione per aiutare chi non può permettersi di spendere cifre astronomiche per le medicine. Questo è un problema molto sentito in Cina, dove il sistema sanitario non fornisce cure gratuite o a basso costo per tutti, i cittadini devono stipulare una polizza assicurativa, un po’ come negli Stati Uniti, e i più poveri non possono permettersi un assicurazione che copra tutte le spese per malattie gravi.
Un altro film che suggerisco è Lost on Journey (Ren zai jiongtu人在囧途) di Ye Weimin , film del 2010 che è un po’ un ritratto della società cinese, e parla, in chiave comica, delle peripezie del ritorno a casa durante le vacanze per il Capodanno Cinese (un vero e proprio esodo che coinvolge centinaia di milioni persone) di un ricco uomo d’affari arrogante e superficiale, e un povero contadino, rozzo e sempliciotto, ma di buon cuore. La trama sembra scontata, ma durante il viaggio che i due si ritroveranno per forza di cose a fare insieme, emergono un po’ i problemi e le contraddizioni della società cinese del terzo millennio, e anche se l’obiettivo primario del film sembra quello di far ridere, non mancano i momenti di riflessione.
La terza pellicola la raccomando perché parla della vita difficile della popolazione uigura nello Xinjiang, di cui molto si parla negli ultimi tempi, con gravi accuse al governo cinese, ma non voglio addentrarmi in questo discorso, perché rischierei di affermare cose inesatte come tanti altri quando parlano e scrivono di Cina. Questo film naturalmente non mostra né campi di rieducazione, né attentati di separatisti e terroristi uiguri, ma parla delle difficoltà der i cittadini appartenenti a questa che è una delle 56 etnie riconosciute dallo Stato cinese, i cui appartenenti risiedono quasi esclusivamente nello Xinjiang, la provincia più grande della Cina, nel Nord-Ovest del Paese. La quasi totalità degli uiguri è di fede musulmana, nella sola provincia dello Xinjiang si calcolano più di 24.000 moschee, e per molti di loro, legati alle loro secolari tradizioni, non è semplice adeguarsi alla modernizzazione della società; tanti uiguri vivono in stato di povertà, e per loro è necessario imparare il cinese mandarino per poter aspirare a un lavoro redditizio, e i genitori fanno molti sacrifici affinché i loro figli possano studiare nelle scuole migliori. La lingua uigura, che è una lingua turcofona, è molto diversa dal cinese standard, si scrive con un alfabeto che deriva da quello arabo, ed è incomprensibile per i cinesi di altre etnie, tant’è che esistono corsi e manuali di uiguro per cinesi. Naturalmente, essendo i protagonisti uiguri, il film è girato nella loro lingua, con il mandarino usato solo a scuola e per le interazioni con i cinesi di etnia Han.
La pellicola si intitola “A First Farewell” (Di yi ci de libie 第一次的离别), della regista Wang Lina, e i protagonisti principali sono un bambino e una bambina su cui i genitori ripongono, in modo diverso, le loro speranze.
Questo film è stato presentato per la prima volta al Festival del cinema di Tokyo nel 2018, mentre in patria è stato proiettato solo due anni dopo, nel 2020.
Infine, se verrete in Cina, vi consiglio vivamente di assaggiare la loro cucina, in tutte le grandi città cinesi ci sono buonissimi ristoranti che propongono cucina dello Xinjiang.
Come dicevo prima, la censura sicuramente limita la possibilità dei registi di trattare alcuni temi cruciali, ma non per questo non è possibile realizzare dei bei film, e ce ne sono molti altri oltre a questi tre, come quelli del regista Lou Ye, autore di più pellicole finite nel mirino della censura, tra cui il bel “Summer Palace” (Yihe Yuan 颐和园) che mostra anche i fatti di Piazza Tiananmen, pur non essendo il tema principale del film. Ormai questo film si trova facilmente sui siti cinesi, ma nel 2006, anno di produzione della pellicola, fu bandito da tutte le sale cinematografiche del Paese. Lui però non si è mai fatto scoraggiare dalla censura, che ha più di una volta denunciato e ridicolizzato, e continua a fare i suoi film, che quando non vengono proiettati in Cina, c’è sempre la possibilità che vengano apprezzati all’estero.