
Il caffè è il secondo commercio al mondo, una delle bevande più bevute, sinonimo di aggregazione e costume. Eppure la sua produzione non è esente dalla piaga dello sfruttamento.
Il caffè è una delle bevande più bevute al mondo, declinata in tante varianti e servita in diversi luoghi di aggregazione, ma non tutti sanno che i suoi chicchi rappresentano una miniera d’oro. Il commercio del caffè è secondo solo a quello del petrolio, ponendosi dunque come una delle più importanti merci di scambio a livello globale. Dietro una tazzina di caffè espresso o di una tazza di caffè turco, si nasconde un percorso lungo, che dal piantatore, che cura i chicchi inodori e verdi, arriva al consumatore, che sceglie la modalità migliore per consumarlo. Il continente che produce più sacchi di caffè, stimati sul peso standard di 60 kg, è il Sud America con 68 milioni di sacchi, le cui esportazioni rappresentano una buona fetta delle entrate dei paesi della regione, a seguire l’Asia con 47 milioni, l’Africa e l’America settentrionale con 17 milioni. Dei 68 milioni di sacchi prodotti dal Sud America, ben 50 milioni provengono dal Brasile, che costituisce quasi un terzo dell’intera produzione mondiale. E pensare che spesso i raccolti brasiliani patiscono le gelate notturne, che ogni volta rischiano di compromettere i chicchi, dove si coltiva la varietà arabica. La fascia tropicale del pianeta si distingue per la produzione della Coffe Canephora, la variante robusta, con il Vietnam e l’Indonesia che si pongono come maggiori esportatori . Ma qual è la differenza tra arabica e robusta? Parliamo anzitutto di forme: l’arabica è stretta e allungata, mentre la robusta è più tozza. A livello di caffeina, quella robusta ha un apporto maggiore rispetto all’arabica, invece quest’ultima ha un maggiore apporto di zuccheri.
Ciò che caratterizza il profumo penetrante e inconfondibile del caffè è la torrefazione. I chicchi verdi, per così dire crudi, del caffè sono inodori e insapore. Assumono il loro caratteristico colore con la tostatura. A questo punto si apre un altro mondo, fatto di diversi procedimenti di torrefazione. Nel Nord Europa, ad esempio, la tostatura è chiara, con un livello di caffeina più elevato, scendendo nel Sud del continente invece viene prediletta una tostatura più scura, adatta per l’espresso, tipica dell’Italia. Quella Napoletana, fatta ad altissime temperature e per più tempo, aggiunge una percentuale di qualità robusta all’arabica, determinandone in tal modo il suo inconfondibile sapore.
Diverse sono le preparazioni del caffè. L’Italia è senza dubbio la patria del caffè espresso, che siamo abituati a consumare solitamente nei bar. Anche la moka fa parte dell’immaginario comune del mondo del caffè, con alcuni cultori che ritengono che il segreto risieda nel riempire il serbatoio al di sotto della caldaia, facendo una montagnetta col caffè nell’imbuto. Ma la valvola ha una sua precisa funzione che è quella di far uscire il vapore senza far alzare la pressione nella caldaia, mentre la montagnetta non assicurerebbe un caffè perfetto.
Nell’Est europeo molto diffuso è il caffè turco che si prepara con un particolare pentolino, detto dzezva. Si porta l’acqua a ebollizione e si dispone per ogni tazza un cucchiaino di caffè. Si gira tutto finché non si addensa una corposa schiuma in superficie. Dopodiché si lascia ancora il caffè sul fuoco, fino a che non arriva ad ulteriore ebollizione. Nelle tazzine si adagia un po’ di schiuma e le si riempie fino all’orlo col caffè. Non si beve subito, ma bisogna lasciare decantare la polvere che si adagia sul fondo della tazza formando figure che possono essere motivo di caffeomanzia.
Oltre ad essere consumato nelle case, il caffè è divenuto un mezzo di divulgazione culturale, basti ricordare quei luoghi che a partire dal ‘700 divennero centri di confronto filosofico e letterario. C’è chi dice che il primo locale dove si serviva caffè fu aperto a Istanbul, altri a Damasco, tra il 1475 e il 1555. Sembra più certa la data della prima kafana, o casa del caffè, sorta in Europa, a Belgrado, nel 1522, nel quartiere di Dorćol.
Oggi assistiamo ad una globalizzazione del caffè, grazie alla catena Costa e soprattutto alla vorace diffusione di Starbucks che oramai ha preso piede anche in Italia. In una puntata dei Simpsons, Starbucks occupava tutti i locali di un centro commerciale, a voler mostrare la sua diffusione aggressiva e virale.
Il caffè assume a livello globale una così grande portata economica da essere fissato dalle borse di New York e Londra. Dietro ogni tazzina molto spesso si trova un giro di affari gigantesco che non esclude la piaga dello sfruttamento, che mantiene bassi i costi di produzione e che non ricusa di mettere in gioco anche giovani vite, destinate altrimenti alla povertà più assoluta. Esiste il commercio equo e solidale che cerca di produrre caffè in maniera sostenibile, da tutti i punti di vista. Sul sito di Fairtrade è possibile consultare le marche che sono certificate come equo solidali. Ma non basta. Lo stesso prezzo del caffè che paghiamo non basterebbe a coprire il costo di produzione e l’impatto sociale. L’Europa è il massimo consumatore e sorprende che la Finlandia sia il paese con il consumo più alto pro-capite, con l’Italia al decimo posto. Ma poco si fa in Europa per fermare lo sfruttamento del caffè e del cacao, che vengono pagati ad un prezzo sempre più basso. Poco se ne cura l’europeo medio che ingurgita la sua tazzina di caffè per soddisfare quella che non è solo una passione, ma una dipendenza famelica, incurante di chi suda e soffre per pochi soldi.