E il tuo sorriso mi cadeva in volto,
dall’alto, da fresche fontane
(Antonia Pozzi)

Aspettava, aspettava non si sa cosa, quel giorno.

I binari erano ghiacciati e niente l’avrebbe fatta risalire da quell’angoscia pesante e scura che come una coltre grigia l’avvolgeva, rendendola insensibile al freddo, illuminata solo da una debole speranza. Anche la stazione era deserta e muta la fontana. Quei pochi raggi di sole che attraversavano le nuvole, rifrangendosi, sembravano braccia tese verso di lei che non riuscivano a raggiungerla, né a scaldare il freddo che le imprigionava il cuore, mentre continuava ad aspettare quel treno, lo avrebbe aspettato tutta la vita, per andare chissà dove o per vedervi scendere qualcuno che la guardasse e la prendesse per mano dicendole: “Sono arrivato, andiamo a casa”. Era una giornata festiva e quel treno non sarebbe passato ma lei trovava conforto in quel silenzio rarefatto, attendendo almeno una lacrima che regalasse sale e dolcezza a quel groviglio di fili d’oro che era diventata la sua anima.

Poi, non so bene cosa accadde quando decise di alzarsi e camminare. A vederla, sembrava una sonnambula, che procede verso qualcosa visibile solo a lei.

Ci sono dei momenti, nella vita, in cui un pensiero ci salva: arriva dal nulla o, forse, da piccole particelle solari che riescono a superare la cortina dei nostri pensieri ripetitivi e stanchi, illuminando il buio impenetrabile della nostra mente. Fu così che un pensiero s’insinuò fra i suoi: “Sono viva, sono viva…” e lei vi prestò attenzione, come ad una verità troppo ovvia per non farci caso.

Sentì il respiro freddo entrare nelle sue narici e pose le mani davanti alla bocca per sentire il calore del fiato. Il ghiaccio dei binari cominciò a sciogliersi in un rivolo sottile e continuo ed anche la fontana emise un suono sordo e poi iniziò a gorgogliare sommessa: tutto ciò che fino ad allora era rimasto immobile e inanimato fu colto da un fremito di vita. E mentre lei camminava lentamente verso i tiepidi raggi di sole invernale, iniziò a pronunciare quelle parole ad alta voce: “Sono viva… sono viva…” come una rivelazione. Alzò le braccia quasi a voler toccare i raggi che turbinavano attraverso le nuvole.

Anche le lacrime, intrappolate fra le ciglia, iniziarono a scivolare lungo il viso: le toccò e ne assaggiò il sapore di sale, sentendo un peso sciogliersi persino sul cuore e una sensazione di calore diffondersi nel ventre.

Guardò i binari in lontananza: non sarebbe arrivato nessun treno quel giorno e nessuno sarebbe sceso prendendola per mano. Le lacrime erano fiumi adesso e si univano al ruscello che il ghiaccio, sciogliendosi, aveva creato e all’acqua che scorreva ormai placidamente dalla fontana: erano lacrime di vita, conducevano una gioia ineffabile che la fecero improvvisamente ridere nel pianto… Correndo verso la fine della banchina, riprese a gridare: “Sono viva! Sono viva!”.

Un fischio deciso la distolse bruscamente da quella litania. Si bloccò, continuando a guardare il sole. “Si fermi! È vietato attraversare i binari!” le intimò una voce maschile, con tono deciso e premuroso allo stesso tempo.

Si voltò per guardare l’uomo che si dirigeva verso di lei. Aveva il berretto, la divisa, la barba bianca ben curata e camminava misurando i propri passi, con il fischietto ancora fra le mani. “Signorina? Sta bene?” proseguì l’uomo, non riuscendo a dissimulare una certa preoccupazione. “Sì… sì… sto bene…” rispose lei, con la voce esitante, come svegliandosi da un sogno. “Ho temuto che volesse fare un brutto gesto. Mi scusi.” L’uomo tossì imbarazzato e poi confessò: “È da stamattina che la osservo. Non mi sono avvicinato per rispettare il suo evidente dolore e perché sapevo che in quel momento non sarebbero passati treni, ma adesso era mio dovere intervenire…”

Non fece in tempo a terminare quelle parole che il rumore assordante di un treno ad alta velocità li sorprese e la massa d’aria che spostò li fece barcollare. Lui l’afferrò per il braccio, nel timore che cadesse: era ancora visibilmente scossa dal pianto e dalle emozioni.

Restarono così, in silenzio, come un padre che accompagna la figlia all’altare e che con lei guarda fuggire lo sposo, incerti entrambi sul da farsi. Poi, quando il treno scomparve dalla vista, lui la guardò e le disse: “Mi ascolti. Ha sofferto e pianto tanto, signorina, ma la vita va avanti, non si fermi a guardare treni che non passeranno più o a rischiare che un treno la travolga; piuttosto prenda il suo treno e vedrà che incontrerà chi vuole viaggiare con lei”. E poi, come imbarazzato da questo suo moto paterno, riprese con tono allegro: “Su, venga, hanno aperto il bar della stazione, prenda un bel cappuccino e si sentirà meglio. Offro io”.

S’incamminarono in silenzio verso le scale del sottopassaggio, entrambi immersi in pensieri transitori, indefiniti. Risalire da quel corridoio sotterraneo con le luci a neon fu per lei come rinascere a nuova vita, sebbene avvertisse tutto il peso della stanchezza che la mole di lacrime ed emozioni aveva lasciato nel suo corpo.

La luce del sole scintillava sulle gocce di brina delle aiuole e sulla superficie metallica dei tavolini del bar. Il capostazione la fece accomodare: “Venga, si sieda qui. Cosa prende? Un cappuccino? Un cornetto?”

Poi, rivolgendosi al barista: “Michele! Servi la signorina. Offro io!”

E riavvicinandosi a lei, si congedò: “Io torno al mio lavoro, signorina. Mi raccomando, sorrida, sorrida sempre. E torni a trovarci.”

“Non so come ringraziarvi! Tornerò di certo. Arrivederci e ancora grazie di cuore!”

Poi, dopo appena due passi, il capostazione si voltò e chiese: Come ti chiami?”

“Margherita…” rispose lei, illuminandosi in un sorriso sincero. Lui rimase immobile e la guardò fissamente. A lei sembrò di scorgere in lui una malinconia familiare.

“Ah…” esclamò infine il capostazione “anche mia figlia si chiamava così”.


FontePhoto credits: Patrizia Miali
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Nata a Martina Franca, dopo il Diploma Scientifico, si trasferisce a Roma laureandosi in Lettere e Filosofia, con indirizzo Discipline dello Spettacolo ed una tesi in Storia del Teatro. Contemporaneamente ai suoi studi universitari, pratica danza e teatro, approfondendo le tecniche di Grotowski ed Eugenio Barba. Scopre ben presto anche la sua passione per la fotografia, che la porterà negli anni a realizzare numerose esposizioni e ad appassionarsi di fotoreportage. Documenta in Argentina la lotta delle Madri di Piazza di Maggio e approfondisce lo studio del fotogiornalismo con un Master in Fotoperiodismo a Barcellona (Spagna). Si interessa di consapevolezza e ricerca spirituale, formandosi in varie tecniche di Meditazione, Reiki e altre discipline olistiche. Svolge numerosi lavori: insegnante di italiano per stranieri, (Diploma DITALS), organizzatrice di eventi (Master in organizzazione eventi culturali), fotografa, segreteria organizzativa di Festival musicali (Pietre che Cantano, Cisternino). Corona il suo iter formativo con il Diploma di Gestalt Counselor presso l’Istituto Gestalt di Puglia, nel gennaio 2014, riconosciuto dall’associazione CNCP (Coordinamento Nazionale Counselor Professionisti). Grazie al Counseling crea un percorso di crescita personale e consapevolezza che unisce tutte le risorse acquisite negli anni, integrando consapevolezza e creatività, dove il mezzo creativo/artistico (teatro, danza, fotografia, scrittura creativa) e le tecniche di meditazione si integrano con le tecniche del Counseling e della Gestalt nel sostenere e supportare la conoscenza di se stessi e rapportarsi alle problematiche quotidiane e alle scelte di vita con maggiore creatività e attivare un proprio personale percorso di cambiamento e/o miglioramento del proprio essere al mondo. Il primo di questi percorsi “CreAttivi_Amo la Vita!” ha avuto luogo presso l’Ass.ne Culturale “Il Tre Ruote Ebbro” a Locorotondo nel 2015/2016. Attualmente sta completando la formazione in Bioneuroemociòn, presso l’Enric Corbera Institute di Barcellona (Spagna).