Riflessioni di un viandante

di Tommaso Castellana

Un bisogno atavico dell’uomo è intrinseco nei suoi passi. L’arte del camminare ti fa assaporare visivamente e spiritualmente tutto ciò che ci circonda. Procedere con lentezza, cogliere l’essenziale e ritrovare in se stessi nuovi spunti di riflessione, con apertura “all’altro” e al proprio ego.

Spiegare cosa sia un cammino e come lo si vive è una missione ardua. Non basta un articolo, sarebbe riduttivo. È un modo di amarsi, di abbracciarsi e abbracciare nuove vite conosciute lungo il percorso. Tornare all’ essenziale e capire come con poco si può diventare un tutt’uno con l’ambiente e il “tutto”. Il cammino diventa una scuola di vita, ti porta ad assaporare la calma e la pazienza, a superare limiti fisici e mentali, a gestire il dolore e ad accettarlo, a scontrarsi con la solitudine.

A giugno di quest’anno, seduto al bar sotto casa, prenotai un volo per Porto. Era l’introduzione per coronare un sogno chiamato “Santiago”.

L’Oceano Atlantico mi chiamava a sé, così come la Piazza Obradoiro e Cabo Finisterre.

Ho iniziato a camminare il primo novembre. Per km eravamo io, l’oceano, passerelle infinite, pioggia e vento. Non c’era nessun pellegrino per almeno sei tappe. Mi cullavo nei miei pensieri. Inevitabilmente in esperienze simili ci si chiede quale direzione prendere, quale piega ci si addice meglio al proprio essere.

Per me il cammino è “vita”, è un bellissimo modo per amarsi e imparare ad amare. Quel sano egoismo che ti porta su strade nuove e non conosciute. Un’evoluzione continua. Ti guardi indietro, pensi al tuo passato con la consapevolezza che il passato non lo puoi cambiare e mediti sul “qui e ora”, il presente. Il tuo presente. Le onde rappresentano una metafora perfetta. Non ci sarà mai una stessa onda, non trasporterà gli stessi microrganismi. Tutto cambia in base ai fenomeni atmosferici. Ed io ero lì, oceano a sinistra e con la testa verso la meta ed altre mille aspettative.

Sapevo che ogni passo portava a cambiamenti, seppur impercettibili. Un processo lento, come gli scogli che con una certa costanza vengono modellati dall’acqua sempre in movimento.

Non si ha molto tempo di pensare al futuro. Si ha la viva percezione del “distacco” dalla vita di tutti i giorni, dalla frenesia, dalla routine che logora i nostri sensi. Si ha la viva percezione dell’allontanarsi da una società che ci vuole omologati e sempre produttivi. Il tempo è dilatato, non ti chiedi più che ora è. Il tutto è scandito dai tuoi passi. Non ci si rende conto che diventi oceano, albero, cielo e si ritorna “umani”. Spuntano le fragilità, la fragilità umana, e dinnanzi al creato siamo delle briciole con il nostro posto sulla Terra.

In cammino poco importa se sei un professionista affermato o no, sei tu, solo tu. Puoi decidere di donare all’altro tutta la tua bellezza, condividere le tue gioie o i dolori. Aiutarsi nel sopportare vesciche ai piedi o tendiniti, o traumi dell’anima e del proprio vissuto. Ridere, piangere e liberarsi da tanti schemi che ti rinchiudono in una prigione costruita da noi stessi.

Per esperienza personale, un valore aggiunto è partire in solitaria. Ogni mio cammino è iniziato così. Da solo. Dopo un po’ soli non si è mai, sempre se sei tu a volerlo. E in quel momento inizia la vera “magia” del cammino. Impari ad andare oltre le tue visioni sul mondo. Si mescolano vite, ci si mette negli stessi passi dell’altro. Ti arricchisci. Continui ad evolvere. Lo zaino sulle spalle diventa più leggero e più pesante allo stesso tempo; man mano che vai avanti nelle tappe e vedi la metà più vicina, si abbandonano vari fardelli lungo il percorso. Sorridi, cominci ad amare anche la pioggia battente, prima odiata e mal sopportata. Diventa più pesante perché l’empatia con altri pellegrini ti fa assorbire le loro esperienze di vita.

Mi è capitato più volte di stringere in poche ore dei legami fortissimi e uno degli aspetti negativi di queste esperienze è che raramente si riesce a mantenere vivi i rapporti post cammino. Ne resta il ricordo, la condivisione di strade in salita, in discesa o sul piano e con alcuni ci si promette di rivedersi per pellegrinare insieme.

Auguro a tutti di uscire dalla propria comfort zone e osservare i propri passi, credere nelle proprie potenzialità e regalarsi un cammino. Non lo considero un viaggio qualsiasi, ma un vero e proprio dono, che racchiude tutti i sensi e amplifica ad ampio raggio le emozioni.

Quando il cammino chiama non bisogna pensarci troppo. Si deve partire e affidarsi, e Santiago,  o qualsiasi altro punto di arrivo, non diventa più il finale ma un nuovo punto di partenza.


1 COMMENTO

  1. Complimenti Tommaso: bellissima e profonda riflessione sul Cammino. Ne hai colto l’essenza descrivendo in modo chiaro e coinvolgente le sensazioni e le emozioni che il Cammino fa provare!

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