La verità è ‘neutrale’ di per sé e resiliente

Di fronte al non idilliaco momento che stiamo attraversando, costellato da inevitabili errori ma anche dalla speranza di un ‘evento di verità’, a dirla con Alain Badiou, che possa portarci al di là del guado, forse ci possono essere d’aiuto alcune considerazioni sulla scienza presenti nel libro biblico dei Proverbi; tale testo, come  i vari studi esegetici hanno chiarito, contiene alcuni scritti risalenti a  secoli precedenti, ma fu ultimato solo nel V-IV secolo a. C. con  diverse traduzioni in lingua greca.  Risulta anche evidente che esso fu in parte frutto dell’incontro del mondo ebraico con la nascente disciplina e cioè la filosofia che, come dice Platone nel Fedone, nacque con lo scopo di dare conto dell’episteme, di quel particolare tipo di verità prodotte dalla scienza matematica nell’indagare la struttura dell’universo, sino a diventare una guida nella stessa  gestione della vita di tutti i giorni:

Fino a quando, o inesperti, amerete l’inesperienza

e i beffardi si compiaceranno delle loro beffe

e gli schiocchi avranno in odio la scienza?” (Pr. 1, 22)

“Accettate la mia istruzione e non l’argento,

la scienza anziché l’oro fino,

perché la scienza vale più delle perle

e nessuna cosa preziosa l’uguaglia” (Pr. 8, 10-11)

“I saggi fanno tesoro della scienza” (Pr. 10, 14).

Già gli antichi autori di queste affermazioni invitavano a diffidare di tutti coloro che non hanno dimestichezza con i processi impervi della conoscenza e che però utilizzano le pseudo-conoscenze a disposizione o inventate ad hoc per altri fini sino a ‘compiacersi’  enfatizzandole; nello stesso tempo si fanno promotori di false aspettative in quanto non vogliono prendere atto dei travagliati processi  messi in atto nel conseguire determinate verità che richiedono  un non comune lavorìo concettuale per comprenderle nella loro più giusta dimensione. Si arriva così ad ‘odiare’ la scienza e le sue scoperte sino  a negarne il  significato più profondo e a  concepirle un non pensiero, come hanno  sostenuto diverse correnti filosofiche del Novecento che hanno dimenticato la grande lezione kantiana, perché  esse mettono a nudo la verità che è ‘neutrale’ di per sé e resiliente nel senso che non può più permettere di costruire false immagini della realtà; ma vengono soprattutto ‘odiate’ perché arrivano a distruggere le cosiddette ‘illusioni gnoseologiche’ su cui  l’uomo stesso storicamente aveva costruito la sua identità a partire dall’idea di essere al centro dell’universo ed unico nel mondo della vita  al di sopra delle  leggi che la governano.

Quando poi le discipline biomediche arrivano a scoprirne alcuni aspetti in comune con tutti gli altri esseri viventi e a debellarne attraverso, ad esempio, l’invenzione dei vaccini alcune patologie secolari, non ci si rende conto del loro valore, della  ‘lezione’ o ‘istruzione’ che permettono di acquisire, e cioè che, come ogni altro risultato conseguito nei diversi settori della  ricerca scientifica, valgono più dell’oro, dell’argento e delle perle messe insieme, risorse poi da dirottare verso un loro potenziamento di base. Proprio tutto ciò sta emergendo sia pure a fatica sulla nostra pelle e a volte malgrado noi stessi col pagare le conseguenze di scelte sbagliate motivate da ideologie di stampo falsamente ‘naturalistiche’, tra contraddizioni ed errori, negli ultimi mesi; ma ancora una volta  dagli autori di questi passi dei Proverbi possiamo trarre delle indicazioni su come invertire la rotta, su come ‘fare tesoro della scienza’ e non comportarci più da ‘sciocchi’ con l’affidarci agli ‘inesperti’ con le loro ‘beffe’ che fanno sempre da contorno.

Occorre pertanto superare, se così si può dire, lo stadio infantile che  ci ha caratterizzati in quanto di fronte alle verità faticosamente conquistate ci siamo tirati indietro a volte perché esse sono difficili da metabolizzare e perché ci ‘decentrano’ dalle  posizioni privilegiate che ci siamo costruito, come ci hanno insegnato prima Nietzsche e poi i vari Althusser, Lacan e Foucault che insieme a Lévi-Strauss non a caso sono stati chiamati ‘i cavalieri dell’Apocalisse’ per aver messo a nudo impietosamente i limiti delle nostre narrazioni. Abbiamo oggi un vasto ‘patrimonio tecnico-scientifico’, per usare una terminologia avanzata prima di Pierre Duhem nei primi anni del secolo scorso e poi da Ludovico Geymonat, che si sta sempre più accrescendo col creare inediti ‘eventi di verità’ con i quali occorre confrontarsi facendone adeguato ‘tesoro’ ad ogni livello da quello strettamente epistemico a quello della responsabilità individuale e collettiva.   La sfida di oggi, come  del resto quella del passato così come gli autori dei Proverbi hanno magistralmente delineato nel non aver avuto timore di confrontarsi con la diversa e poliedrica cultura filosofico-scientifica greca, è quella d’impegnarci nel trarre dalle conoscenze acquisite e da quelle che si vanno profilando all’orizzonte una maggiore consapevolezza delle inedite responsabilità che esse comportano; come diceva Simone Weil nel suo peregrinare nel ‘mare del possibile’ che è la cultura del Mediterraneo, come lo chiamava Paul Valéry, più si conosce, più si è responsabili nei confronti del reale e di essere più attenti alle sue ragioni rugose sì ma per questo ricche di diversi orizzonti, percorso che una volta intrapreso ci insegna a diventare sempre più umani e a fare i conti con le nostre vecchie e nuove fragilità.

Il biblico ‘fare tesoro della scienza’ è un invito a prendersela sulle spalle, a trarre dal possesso teorico-epistemico delle sue conoscenze le condizioni per renderci nello stesso tempo più razionali e più avvertiti sul piano etico, meno influenzabili dalle ‘beffe’ e dalle false notizie che comunque devono essere individuate per renderle innocue; ed in tal modo si vengono a potenziare le  capacità critiche con in primis la facoltà di smascherare gli ‘assoluti terrestri’ di cui spesso siamo vittime permettendoci di vivere in piena e maggiore libertà il  nostro essere situati nel ‘razionalismo della contingenza’, così come Dario Antiseri in varie opere ci ha ben invitato a prenderne atto.


FontePhotocredits: Roberto Strafella
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Mario Castellana, già docente di Filosofia della scienza presso l’Università del Salento e di Introduzione generale alla filosofia presso la Facoltà Teologica Pugliese di Bari, è da anni impegnato nel valorizzare la dimensione culturale del pensiero scientifico attraverso l’analisi di alcune figure della filosofia della scienza francese ed italiana del ‘900. Oltre ad essere autore di diverse monografie e di diversi saggi su tali figure, ha allargato i suoi interessi ai rapporti fra scienza e fede, scienza ed etica, scienza e democrazia, al ruolo di alcune figure femminili nel pensiero contemporaneo come Simone Weil e Hélène Metzger. Collaboratore della storica rivista francese "Revue de synthèse", è attualmente direttore scientifico di "Idee", rivista di filosofia e scienze dell’uomo nonché direttore della Collana Internazionale "Pensée des sciences", Pensa Multimedia, Lecce; come nello spirito di "Odysseo" è un umile navigatore nelle acque sempre più insicure della conoscenza.

3 COMMENTI

  1. Arché sophias phòbos theoù(prov,1,7) In tutti i Proverbi il motivo ricorrente non è l’episteme,ma la sofia ,questa è il timore (,la venerazione,l’ascolto del Dio d’Israele) di Dio e lo sciocco è colui che non ascolta le raccomandazioni del Dio….
    L’uomo dimentica che la natura è una convivente della casa comune,una sorella e madre (Francesco,Laudato si^) e come succede in una famiglia,ogni tanto si ammala un familiare,spesso di una malattia di cui non si conoscono cure,l’amore per lui fa cercare la cura,ma questa non si trova facilmente,si va per tentativi,ecc.A volte si soccombe e chi sopravvive racconta.<> senza aver imparato dall’esperienza. Per il resto,manca l’umiltà,la prudenza.ecc

    • Certo l’episteme in sé per gli autori dei Proverbi non è il problema fondamentale, ma attraverso di essa la comprensione del disegno divino assume un altro valore; e lo ‘sciocco’ è anche quello che rifiuta di confrontarsi con la sofia implicita nella vera conoscenza della struttura del reale e quindi con il fine ultimo del suo ‘progettatore’.

  2. Certo, l’episteme non è l’obiettivo principale degli autori dei Proverbi, ma attraverso di essa si arriva ad una maggiore comprensione del disegno divino che sorregge il reale e a dargli un significato più fondato. Lo ‘sciocco’ poi è anche colui che si rifiuta di confrontarsi con la sofia implicita nella conoscenza perché in tal modo esclude la possibilità di intravedere il fine, il senso ed il mistero del creato.

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