Roger, Rafa e Nole campioni di sport e di vita

Li chiamano i Fab 3. Sono i dominatori del circuito tennistico mondiale degli ultimi 15 anni. E non si vede ancora nessuno in grado di raccoglierne l’eredità. Roger Federer, Rafael Nadal e Novak Djokovic hanno raggiunto vette sublimi nelle prestazioni sportive, cancellando miti che sembravano insuperabili. Sampras, Agassi, Edberg, Becker, Lendl, sono usciti dalla memoria collettiva. Persino i leggendari Borg e McEnroe rischiano molto. Soltanto il vecchio “Jimbo” Connors mantiene il primato di 109 tornei vinti. Ma sente il fiato sul collo di “King Roger”, che ha superato la soglia critica dei 100. Tra i due non c’è paragone: lo svizzero ha vinto 20 Slam contro i 7 dell’americano. Non si gioca più con le racchette di legno, simbolo di un tennis d’altri tempi. Quello un po’ aristocratico dei circoli della gente cosiddetta perbene. Ora tutto è tecnologicamente avanzato, si tirano bordate da ogni parte del campo. Si lavora molto sull’immagine e sul rapporto con gli sponsor. Eppure questi tre sono campioni, ma anche uomini. Veri. Fuoriclasse dentro e fuori dal campo. Capaci di perdere e rinascere. Cadere e rialzarsi. Infinite volte.

Roger Federer, classe 1981, è il tennista più forte di tutti i tempi. Meriterebbe l’ultimo primato: il più alto numero di tornei vinti in carriera. La ciliegina sulla torta prima di dedicarsi alla famiglia e alle attività benefiche. Lo svizzero di Basilea, infatti, è una persona quadrata, simpatica e impegnata su altri fronti della vita. Ha una fondazione. Si occupa di cooperazione e sviluppo internazionale. Arriva persino dove non riescono i governi. Un grande. Il suo tennis è pura poesia. Il servizio che sfiora i 200 Km all’ora con una precisione chirurgica. Un sontuoso serve and volley, che neanche il miglior Stefan Edberg (suo ex allenatore) era in grado di concepire. Volèe e colpi liftati da cineteca. Si muove sul campo con grande eleganza, come il gillet che indossa durante le premiazioni a Wimbledon. Sembra danzare. Una preparazione atletica maniacale gli consente a 37 anni di essere ancora nel club dei più forti. Ha conquistato almeno una volta tutte le prove del Grande Slam. Tantissimi record: più vecchio numero 1 di sempre, più a lungo dominatore del circuito Atp, vincitore di 8 Wimbledon. Ha trasformato il torneo inglese da tempio del tennis mondiale a giardino di casa. Vince (quasi) tutte le finali. Proprio l’erba inglese lo ha tradito. A due passi dalla storia. Nel 2012 e meno di un mese fa. Nel primo caso è stato Murray, ex numero 1 e vincitore di due Olimpiadi consecutive – un talento che ha cercato di rinnovare la saga dei Fab 4 senza successo anche a causa di gravi infortuni – a mettersi tra l’elvetico e l’oro a cinque cerchi nel singolare (ha, infatti, condiviso il gradino più alto del podio nel doppio con Stan Wawrinka). Luglio 2019: la più lunga finale del Championship londinese. Una maratona. Federer per ben due volte si gioca il match point. Non sono palle qualunque. Sta per scrivere la storia. Il servizio lo tradisce. Djokovic lo spodesta. 13-12 al quinto set. Sono passate quasi 5 ore dall’inizio della partita. Roger è umano. Nei confronti one-to-one è indietro sia con Djokovic sia con Nadal. Entrambi lo hanno battuto nel giardino di casa. Due finali memorabili. Quella del 2008 con il maiorchino è durata dieci minuti in meno. Ma è stata molto emozionante. Ci si è messa anche la pioggia quel giorno. Forse per coprire le lacrime di delusione.

Rafael Nadal ha 33 anni. Cresce sotto la guida di zio Toni e Carlos Moya. Lo spagnolo è uno tosto. Solido dal punto di vista atletico. Tira sportellate da fondocampo. Massima espressione del tennis contemporaneo. Sulla terra rossa è imbattibile. Prevale 11 volte al Roland Garros. Parigi ormai è casa sua. Non si accontenta. Vuole diventare un tennista completo. Nel 2005 è già padrone di Parigi. Si impegna a non rimanere appiccicato alla riga di fondo. Scende a rete. Le prime uscite sull’erba sono ridicole. Le volèe da dilettante. Rafa, però, non è solo un tipo tosto. Dietro l’apparenza da macho si nasconde una persona umile. Gioca a Halle e al Queen’s. Arriva nel tempio di Wimbledon. Apprende presto. Giunge al cospetto di King Roger. Perde la prima finale. Ma lo costringe a giocare il quarto set. L’anno dopo lo porta al quinto, costringendolo a qualche esultanza rabbiosa con uno “yes” di troppo. È il 2008. Gioca la partita perfetta. Surclassa l’elvetico. Si fa rimontare. Piove. Sospensione. Si va al quinto set. Il rischio è l’interruzione dell’incontro per oscurità. Quando il buio comincia ad accarezzare Wimbledon, il maiorchino compie l’impresa. È il nuovo fuoriclasse. Si arrampica sulle tribune. La gioia è immensa. Standing ovation. In questi anni, Rafa ha vinto praticamente tutto. Il 2010 l’anno migliore. Gli infortuni sono il suo limite. Più volte è costretto a fermarsi e a ripartire dalle retrovie. L’umiltà e la resilienza gli consentono di ritornare ai vertici con grande forza mentale. Non è un esempio di eleganza. Il gesto di aggiustarsi la mutanda viene parodiato da Söderling. Lo svedese è l’unico a fargli saltare i nervi. E a tenerlo lontano dalla finale di Parigi. Federer ringrazia e porta a casa il suo primo slam sul rosso. L’elvetico proprio non riesce a batterlo in Francia. Lo spagnolo, tuttavia, perde due scontri diretti, rilanciandolo nell’Olimpo dei più forti. Finale Australian open del 2018 e semifinale Londra 2019. Ora Rafa e Nole sono a caccia di Roger. L’età è dalla loro parte.

Novak Djokovic, serbo, classe 1987, è l’attuale numero 1 del mondo e fresco vincitore di Wimbledon. Ha raggiunto la vetta e punta a diventare il tennista più forte di sempre. La guerra, però, ha segnato la sua vita. Nole è bambino quando scoppia il conflitto nei Balcani. Il suo Paese è sul banco degli imputati. Sono gli anni di Milosevic e del sanguinario generale Mladic. L’embargo, la lotta per procurarsi il minimo indispensabile per vivere. Le bombe della Nato. Il campione vive la tragica esperienza del conflitto. Non la dimentica. Sogna ancora gli aerei che colpiscono la sua città. Esce rafforzato da questa esperienza. Cresce con un tennis completo e una grande forza mentale. Raggiunge il primato nel 2011. Un anno da record. Nole supera i limiti fisici causati dall’intolleranza al glutine e conquista tutti i trofei dello slam. In due stagioni. Il sogno di eguagliare Lever dovrà aspettare. Un brutto infortunio lo tiene lontano dai campi di gioco. Ritorna. Vince. Si mette con pazienza in scia di Nadal e Federer. Li sorpassa. Oggi è l’uomo da battere. Forte sotto il profilo fisico-atletico. Colpi tremendi e precisi. Un attore in campo: le sue sfuriate ricordano le sit-com di McEnroe. Qualche volta perde la brocca. Non come Fognini. I suoi sfoghi sono quasi sempre funzionali al piano mentale della partita. Ritorna nel suo locus of control. Magnetico. Lo accusano di vivere l’ossessione di voler emulare Federer. Forse è così. Ma nella finale più importante della sua carriera non sbaglia. Il pubblico tutto dalla parte del King. Grida: “Roger, Roger”. Vuole trasformare la finale in una fiaba a lieto fine. Come nel film “Wimbledon” con Paul Bettany. Nole, invece, sente chiamare il suo nome. Concentrazione eroica. Federer stecca. È campione. Chapeau.

 


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Una grande quantità di amore ed entusiasmo traboccanti da un piccolo contenitore bucato dalla fragilità e dalle ammaccature dell’esistenza. Poche pennellate per descrivermi. Mi definisco un mediano, che sta in mezzo al campo “a recuperar palloni … con dei compiti precisi”, consapevole che è più bello lavorare per la squadra e che dopo “anni di fatiche e botte vinci casomai i Mondiali”. Insegno filosofia e storia al Liceo “F. de Sanctis” di Trani e ho collaborato con l’Issr “San Nicola il Pellegrino” di Trani come docente incaricato di Filosofia rosminiana e Filosofia della religione. So cosa vuol dire viaggiare, gustando i paesaggi e temendo le avverse condizioni meteo. L’esperienza più bella è la paternità: il dono di rinascere per accompagnare una vita che mi è stata affidata, rivedendo il mondo con gli occhi di un bambino.

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