Patrimonio immateriale dell’UNESCO
Sabato, spunta il sole. Le pecore dei Fratelli Carrino, mammelle rigonfie, pensierose, vello arricciato, con un accorato belato salutano i monti della Daunia, circa mille metri di quota, a ridosso di Faeto, piccolo centro abitato della provincia di Foggia, dove si parla il franco-provenzale.
Portano con sé il ricordo delle gustose erbe, brucate nei pascoli in estate ed autunno, e degli accoglienti stazzi. I cani, i bianchi pastori abruzzesi controllano le prime file, girano sui fianchi e passano in rassegna la lenta retroguardia, obbligata ad accelerare il passo.
Una ventina di chilometri da percorrere, oggi, del tratturello Camporeale-Foggia. Il freddo incalza. I pastori indossano un caldo maglione, pesanti pantaloni, scarponi ed una giacca impermeabile con cappuccio. Cade la pioggia. Insistente. La lenta marcia continua imperterrita. Il vento, ululando sferzando e facendo accapponare la pelle, non dà tregua. Incalza inclemente. Le infinite graminacee si piegano fino a toccar terra sotto le ripetute folate. Gli uomini, puntando strenuamente i piedi per terra, fanno fatica a resistere alle raffiche.
Le foglie volano, atterrano e decollano di nuovo. La processione continua a sfilare, umilmente. Echeggia a perdita d’occhio nelle sterminate lande, il sordo scampanio del campanaccio dell’unico montone e l’allegro squillare di campanelli di alcune pecore.
Cielo tetro, una bufera si scatena, capace di far decollare uomini ed animali. La resilienza soggiorna nelle azioni, parole ed emozioni dei tenaci pastori. Non demordono, procedono pervicacemente. Le pecore reagiscono, facendo massa compatta. Trotterellano impavide, mentre la loro urina scroscia tra le zampe posteriori, e le verdi deiezioni volgono la mente a Pollicino.
La Transumanza ora è patrimonio culturale dell’Unesco. L’ambito riconoscimento è stato concesso perché i pastori transumanti posseggono una conoscenza approfondita dell’ambiente, dell’equilibrio ecologico tra uomo e natura e valorizzano e con la loro presenza il territorio incalzato dal dissesto idrogeologico, dalle inclemenze atmosferiche e dalle aggressioni umane.
Finalmente nei pressi di Troia. Gli animali possono riposare ed alimentarsi. Durante il tragitto non hanno potuto consumare neppure uno spuntino erbaceo per l’inclemenza del tempo. Gli agnellini, che zampettavano ripetutamente nell’utero materno, trovano finalmente quiete.
I Carrino allevano bufale di razza “Mediterranea”, allo stato brado nei pascoli aziendali, bovini appartenenti al ceppo “Podolico Pugliese”, mille ovini di razza “Gentile di Puglia”, cavalli discendenti della razza “Pugliese”, asini di razza “Martina Franca” e “Amiatina.”
Domenica, crepuscolo, rattrappiti, si riparte. Dopo un’ora viene incontro la città di Troia stiracchiata lungo la Francigena del Medioevo, ricalcante l’antica via traiana. Sulla strada declinante verso la pianura, tre musicisti con la zampogna, la ciaramella e la fisarmonica rievocano le musiche della Novena.
Felice, il padre dei baldi pastori, scendeva ogni anno dal Molise per la transumanza. Ad Alberona si innamorò di Maria Grazia, una bella ragazza, e la sposò. Nacquero a distanza di pochi anni l’uno dall’altro tre figli, Cristoforo, Domenico e Gianfranco, imponenti per altezza e stazza, che hanno raccolto la pesante eredità dell’allevamento degli animali e tutela dell’ambiente. Sono entusiasti del loro lavoro, non lo cambierebbero con nessun altro al mondo.
Filano in perfetto accordo, mai uno screzio, grande condivisione, sinergia ed affabilità. “Abbiamo avuto un padre meraviglioso”, confessano. “La sua autorevolezza”, aggiungono, “lo portava ad ascoltare le nostre ragioni, ad argomentare ogni sua decisione. Mai si impuntava, e forte era il legame che lo univa a nostra madre.”
Il tratturo, un tempo bianco e inerbato, ora, è asfaltato. Solo qualche collinetta all’orizzonte ed una sterminata pianura. Tante le pale eliche, che girano vorticosamente. Il gregge imbocca una scorciatoia melmosa, impraticabile, costellata di pozzanghere. I vostri piedi affondano profondamente, risuolandosi di uno spesso strato di fango. Volano schizzi di melma. Che brividi!
Ecco l’antica Masseria Pavoni, risalente al XVII secolo, sita in agro di Lucera. Si affaccia sulla diga Capaccio, l’invaso idrico nei pressi del borgo San Giusto. L’Azienda pratica l’agricoltura biologica con indirizzo zootecnico, cerealicolo e olivicolo. Vengono coltivati grano duro e cereali minori, leguminose e piante foraggere destinate all’alimentazione del bestiame.
La modesta abitazione vi accoglie. Che tepore! Una famiglia patriarcale d’altri tempi. Genitori, fratelli, cognate e cugini condividono da tanti anni le gioie e le sofferenze della vita e portano avanti progetti. Non mancano le amarezze. Un lungo tavolo accoglie i numerosi avventori, che assaporano pasta condita con pomodoro dolcissimo dell’azienda, carne di bufala, mozzarelle e ricotta di bufala, formaggi podolici, croccanti cartellate. Un bicchierino di limoncello.
Buio, è l’ora della mungitura. Gli asini, i cavalli e le mucche vagano liberamente nei pascoli dell’azienda. Le bufale chiacchierano tra di loro nella fanghiglia, o si rifugiano sotto la tettoia. Trattori, escavatori, sollevatori e minuti attrezzi da lavoro dormono saporosamente. Intanto, una cagnetta si affretta a partorire e Cristoforo, veterinario, amorevolmente se ne prende cura. Ringrazi della splendida esperienza e con una generosa busta di leccornie prendi la lunga strada del ritorno.
con il tuo tatto sai toccare il cuore. Leggendo l’articolo sui Tratturi della Daunia e come se mi fossi immerso con i pastori e il gregge nel sano ambiente che ci appartiene. Il nostro sistema è tutto capovolto al contrario……
Per non parlare del mangiare sano….