Il primo sorso affascina, il secondo strega. Sono le parole che Sylva Koscina pronunciava in un carosello sul finire degli anni ’60. Dette dalla Koscina quelle parole sarebbero state buone per farci ingurgitare qualsiasi intruglio. Moderna janara, l’attrice zagabrese pubblicizzava, invece, una delle massime espressioni della liquoreria dolce italiana: 70 erbe e spezie infuse e distillate in 40° di alcol color zafferano vero.
Giuseppe Alberti concepisce il liquore basandosi sull’antica leggenda che indica i boschi ombrosi intorno a Benevento ritrovo delle streghe di tutto il mondo per officiare i loro riti sacrileghi.
Fama, in verità, usurpata ai Longobardi che nella città campana avevano la capitale del loro vasto ducato e che nei boschi celebravano cerimonie cultuali in onore di Wothan. Al termine della funzione religiosa, gli ardimentosi cavalieri si sfidavano in una sorta di giostra che consisteva nel colpire con la lancia una pelle di caprone appesa ad un noce. Così si divertivano! Innocente diletto.
Con l’abiura del Walhalla e la conversione al cristianesimo dei duchi, fu gioco facile al vescovo Barbato far credere ai superstiziosi Beneventani che quei cavalieri altro non erano che streghe malefiche danzanti orgiasticamente intorno al noce e che al sabba partecipasse addirittura il maligno nelle sembianze del caprone.
A me piace una versione più languida e con un pizzico piccolo piccolo di poesia.
Si sa, le streghe erano vecchie e laide. Ma il patto di sangue fatto giurare da Belzebu e sancito sulle gocce purpuree stillate dalla mammella sinistra, concedeva alle maliarde di trasformarsi in avvenenti fanciulle nelle notti di luna piena durante le sfrenate danze sabbatiche.
Di ritorno dalla battaglia o dalla ronda notturna, i prodi principi longobardi s’invaghivano delle discinte giovani incantatrici, lascive ai piedi del noce. L’amore aveva il colore diafano della notte. E prima che la luna potesse cedere il proprio candore ai bagliori vermigli di un’aurora che avrebbe offerto allo sguardo degli spasimanti carni vizze, capelli ispidi e spessi, seni cascanti, bocche sdentate, ecco il sortilegio. Le fattucchiere propinavano agli ignari sognatori un filtro d’amore che li avrebbe affatturati legandoli per sempre alle loro voglie insane.
Quel filtro d’amore è diventato il liquore Strega.
Immortalato all’inizio del XX secolo da Marcello Dudovich e Fortunato De Pero in manifesti in stile Art Nouveau e Futurista, lo Strega è prodotto dal 1860 con una formula segreta.
Anice stellato, cannella, iride fiorentino, ginepro, chiodi di garofano, lavanda, sono alcune delle 70 essenze che entrano nella composizione del liquore. Poi c’è un particolare mentastro che cresce spontaneamente lungo le sponde del Sabato e del Calore. Poi c’è la mirra! Per la terza volta sento parlare di mirra nella mia oramai non più breve esistenza. Nei ricordi d’infanzia era il dono misterioso che uno dei Magi recava a Gesù Bambino. Per me l’arcana mirra era portata dallo “scuro” Baldassarre. La tradizione, invece, l’affida a Gaspare. Nell’adolescenza ginnasiale, Mirra, l’incestuosa eroina dell’omonima tragedia di Vittorio Alfieri, turbava il mio sonno non tanto per l’infelice vicenda di cui era protagonista ma per l’interrogazione del giorno dopo. Adesso è la resina odorosa dello Strega.
Dunque, formula segreta. Come per tanti liquori, come per un filtro d’amore.
Il sistema è davvero geniale.
Gli ingredienti, misurati con pesi ciechi, sono miscelati e riposti in un armadio con cassetti numerati non in sequenza. Di qui, dagli addetti sono prelevate le dosi per l’infusione e la distillazione senza saperne la composizione. La ricetta, in questo modo, viene approntata non conoscendone qualità e quantità.
La gentilissima Kenia Palma, responsabile marketing della Alberti, mi mostra la storica lavagna del Premio Strega, nato dall’intuizione, acuta e creativa, di Maria Bellonci. Mi commuovo. Su quella lastra di ardesia sono stati segnati col gesso, e continueranno ad esserlo, i più bei nomi della letteratura e della cultura italiana.
Una tv in bianco e nero riporta alla memoria i commenti di Luciano Luisi dal ninfeo romano di Villa Giulia nelle lunghe sere d’inizio estate.
E mentre centellino un bicchierino di Strega, nella flebile illusione d’un fresco prossimo amore, eccovi la formula magica che le streghe invocavano durante il processo, prima di essere arse vive.
Unguento unguento
portami al noce di Benevento
sopra l’acqua e sopra il vento
e sopra ogni altro maltempo.