In quanti secondi siamo ormai capaci di liquidare decine di morti e centinaia di feriti e di parlare d’altro: questo, secondo me, è il nocciolo del problema, cioè quanti secondi ci mettiamo oggi a digerire decine o centinaia di morti, per incominciare, poi, a buttarci, ciascuno, le sue elucubrazioni politiche. Io invece credo che convenga continuare a riflettere sui morti e i feriti, perché credo che siano l’unico contenuto della guerra; del resto, cioè di quale regime sostituirà il regime precedente, di chi sarà il vincitore di turno, almeno per qualche istante o per qualche mese, non ci trovo grande fascino a discuterne, non mi interessa neanche molto. Quello che mi sembra importante è che incominciamo tutti quanti a cercare di pensare e di confrontarci per vedere se, per caso, tutto quello che abbiamo dato per scontato su questo argomento della guerra non sia suscettibile di essere rimesso e rivisto  e non si riesca invece magari a disegnare anche alternative possibili, perché alternative possibili esistono, io credo, esistono già oggi, sono praticabili, sono sperimentabili, credo anche che Emergency nel suo piccolo lo faccia e credo che questo sia l’unico approccio che ci può portare un pochino più distante dal baratro a cui ci stiamo avvicinando a lunghe falcate.

(Gino Strada)

Anatol ha dieci anni e un cuore di leone. È stato abbandonato dai suoi genitori quando ne aveva solo due; lo hanno lasciato da solo nel vano dell’ascensore di un anonimo palazzo del centro urbano di sera, dicendogli che stavano facendo un gioco. Le porte si sono riaperte una, due, tre volte ma di mamma e papà nemmeno l’ombra. Ha urlato, Anatol, ha strillato più che poteva, ha invocato la sua mamma, dagli occhi di cielo come lui, ma lei non è più tornata a riprenderlo. Solo. Abbandonato.

Yegor ora è cresciuto, è ormai un giovane pieno di entusiasmo e di allegria. Sempre pronto ad aiutare i suoi amici, suoi fratelli, in realtà, perché con loro condivide ogni istante della sua vita nonché i suoi punti di riferimento, i padri Salesiani che lo hanno accolto quando è stato trovato, quando ancora non era in grado di parlare, gettato, come merce avariata, in un cassonetto della spazzatura. Non può più vedere il mondo che lo circonda poiché è molto probabile che gli siano state asportate le cornee da piccolino, vendute sul mercato  del traffico d’organi.

Alina con molta difficoltà ha imparato a parlare perché sin dai primi mesi di vita ha sperimentato la solitudine: sua madre, il suo unico punto di riferimento, era tossicodipendente e non si accorgeva nemmeno che sua figlia era lì con lei e dipendeva completamente dalle sue cure. Piangeva, piangeva a sfinimento, Alina, ma nessuno arrivava a sfamarla, ad accudirla. Un giorno i vicini di casa, stremati ed affranti per quanto erano costretti ad assistere, hanno chiamato la polizia e la piccina è stata condotta in orfanotrofio, dove si trova ancora oggi.

Larisa in orfanotrofio ha perso l’udito a causa di una malattia non curata a tempo debito. Oggi ha tredici anni e sta studiando per diventare sarta. Non riesce a sentire il rombo del motore degli aerei che in questi giorni sfrecciano nei cieli dell’Ucraina né il boato delle bombe che cadono a ritmo incessante ma avverte tutto il terrore negli occhi di chi la circonda che diventa il suo stesso terrore muto e implacabile.

Anatol, Yegor, Alina, Larisa conoscono la guerra perché la stanno vivendo sulla loro pelle. Come loro ci sono almeno altri centocinquantamila bambini abbandonati in Ucraina, il “Paese degli orfani”, come è stato definito da qualcuno, dei quali settantamila internati in istituto; pare che solo a Kiev vi siano tra i cinquemila e i diecimila bambini abbandonati che vivono in orfanotrofio ed un numero non noto di bambini che vivono per strada. Sono i più fragili di tutti: non hanno una madre né un padre che li ami, non hanno cibo, casa ed ora c’è la guerra.

«La guerra piace a chi non la conosce», diceva Gino Strada, «ogni guerra ha una costante: il 90% delle vittime sono civili, sono persone che non hanno mai imbracciato un fucile, sono persone che molto spesso non sanno neanche perché gli scoppia una mina sotto i piedi o gli arriva in testa una bomba. Le guerre vengono dichiarate dai ricchi e dai potenti che poi ci mandano a morire i figli dei poveri: questa è la realtà».

La guerra è male in sé; aiutare chi soffre, chi ha bisogno, è giusto, si deve e si può fare. La guerra non è inevitabile, è un problema da risolvere, non certo un destino che deve compiersi. Un mondo senza guerra non è un’utopia, è realizzabile.


1 COMMENTO

  1. Romy, ogni riga un pugno nello stomaco. Ce n’è bisogno per comprendere pienamente le varie tragedie che si consumano mute e invisibili in presenza di una guerra. Nella stanza dei bottoni sembra tutto un gioco tra poteri forti, ma la miseria piange vittime quotidianamente e li rende bersagli appetibili di sconsiderate ragioni politiche. Come hai sottolineato tu la guerra NON è inevitabile e tutti coloro dei piani alti che possono sentire, vedere a differenza di questi bimbi devono assolutamente trovare un modo per bloccarla. Se c’è ancora un barlume di umanità forse si può fare…

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