«Potete ingannare tutti per qualche tempo, o alcuni per tutto il tempo, ma non potete prendere per i fondelli tutti per tutto il tempo»

(Abraham Lincoln, Discorso a Clinton, 1858)

Vorrei tanto accorciare questa storia, prima d’iniziarla, con un finale che non lasciasse amaro in bocca a chi mi cadesse in lettura. Ma che consegnasse a me medesimo, dopo avermi letto, un decisivo senso di serenità, dopo averne digerita la trama che non si discosta dalle precedenti: la guerra.

Ah, se potessi almeno rovistare nella mente di chi si contende la vittoria con un movente “giustificato”! Questo, almeno, mi faciliterebbe la vita. Non stare in apprensione, ad un finale di lunghissima novena. Pieno di ansietà nel pregare, inutilmente, un dio sbagliato, inopportuno, dopo averlo cercato e individuato tra i molteplici abitanti dell’olimpo o della casta, dove si “organizzano” e si “studiano” piani per scopi puramente insensibili alla vita umana.

 

Non alberga “disdoro” tra questi ranghi: nemmeno a fargli tomografie approfondite se ne possono ricavar tracce.

Il senso “giustificato” di certe assunzioni è sempre da rivedere, prima ancor che si debelli, dallo strato mentale, l’ingiustificato pensiero che l’ha prodotto. Il non volerlo attendere questo proposito è segno di una ostinata viltà per eventuali discolpe, prive di basi etiche.

Ognuno di noi si porta appresso il “timore” della propria morte. Questa è tanto grave quanto più uno si farebbe carico attivo di quella procurata agli altri, nel caso avesse un briciolo di coscienza. Se tutto ciò, per nostro fine, c’interessa poco, sia per spavalderia sia incoscienza, almeno dovrebbe metterci in allerta dell’inutilità e pericolosità di certe nostre brutali azioni, le quali generano le controreazioni a catena: quelle degli altri. È come emettere sputo nell’aria e riceverlo in viso: sputarci in faccia insomma.

 

Le levate di cappello per accaparrarsi il posto in prima fila mettono a rischio le nostre “zucche” ponendole ad “insolazioni o raffreddori”, a secondo le stagioni estreme che si stanno susseguendo, dacché pure il tempo si è messo a dar le carte sbagliate…

Le “strade” carreggiabili rimangono intasate da pregiudizi che non portano a nulla se non al consumo snervante, di prove e controprove, da fiaccarne il buon senso di taluni ravvisati a mettersi in gara coi tanti penalizzatesi per puro masochismo. Il male che si crea resta. Resta e ci consuma come un cero acceso in pieno giorno: come devozione immaginaria a “soggetti” alieni, surreali…?

 

Spendersi per una causa inutile è come abbeverarsi a una “fatamorgana”, mantenendo una sete perenne fatta di irraggiungibili appagamenti.

Sanarsi il mal di stomaco, con le ricette del medico curante, con le quali ti prescrive di mangiare in bianco, non significa continuare a mangiare piccante indossando un camice bianco.

 

Anche le false “ricette” per smettere di farsi guerra, ma continuando a tirarsele addosso di “mala pianta”, serve solo a prendersi per i fondelli. In un mondo bisognoso di ben altro… che vedersi distruggere da chi lo abita; è la vera pazzia della guerra, dell’uomo.

La notizia di qualche giorno fa sui media che molti mezzi militari, abbandonati dalle truppe di Mosca sui territori ucraini, vengono riparati e usati contro gli stessi invasori e non certo per farli compiacere dei loro prodotti. Interi Oblast’ rimangono lastricati di mine e ferraglie di ogni genere, da far sembrare l’ambiente circostante, un sito dove si sia già avverata la profezia dell’apocalisse.

 

Oggi ci sono i trattori che coltivano i fondi, ma i russi ne hanno fatto ricche prede in Ucraina, rendendo inservibili quelli abbandonati per ragioni di precipitose fughe, quelle che i russi chiamano, tattiche militari.

Si ritornerà col vecchio aratro, trainato dalla coppia di buoi tramite il giogo sul collo, a rivoltar le zolle, intrise di sangue e di mine anti-uomo, disseminate sulle distese lande? Chissà…!  Forse.

E se saranno i buoi a farlo, cosa si rispecchierà nei loro occhi, non più glauchi, ma tristi? Non certo “l’austera dolcezza e il quieto, divin piano, silenzio verde”, pensato dal nostro Giosuè Carducci, nella sua lirica “Il Bove”, ma certamente: una landa arrugginita da ossido di ferro e tanto, tantissimo, inutile strato, di scatenato livore.