Mario Castellana da diverso tempo è impegnato  nel farci conoscere una figura femminile  di origini ebraiche come Hélène Metzger (1889-1944), quasi del tutto ignorata anche in Francia dove visse e condusse le sue ricerche  col contribuire insieme ad altri  alla costituzione di uno dei capitoli più importanti del pensiero del Novecento come la filosofia e la storia delle scienze, discipline nate proprio nella prima metà del secolo e venute a consolidarsi in seguito  con diverse tradizioni di ricerca in vari paesi; insieme allo storico della scienza Enrico Giannetto autore dell’introduzione, ha curato  con una lunga postfazione  la riedizione in francese di una sua opera del 1938  Attraction universelle et religion naturelle chez quelques commentateurs anglais de Newton (Paris, Hermann 2019), dopo averne già fatto tradurre due importanti scritti che l’hanno fatta conoscere ad un pubblico più vasto, come Il metodo filosofico nella storia delle scienze(2002) e l’incompiuto e redatto durante l’Occupazione La scienza, l’appello alla religione e la volontà umana (2014), operazione a cui sono stati invitati  altri studiosi a dare un loro contributo.
È da sottolineare  che quest’ultimo breve testo,  insieme con la  ristampa del primo dove è stata aggiunta la traduzione del ricco epistolario (2009), è stato finanziato dall’Associazione  Onlus ‘Nessun uomo è un’isola’ di Torino che gestisce il museo del carcere ‘Le Nuove’; tale associazione tra l’altro ha lo scopo di far conoscere l’operato di figure che si sono distinte, sino a volte al sacrificio della propria vita, nell’aiutare ebrei e non e più in generale tutti coloro che hanno combattuto per la libertà dei loro paesi.

Caro Mario,  ci puoi descrivere come sei arrivato a prendere in considerazione tale figura che in base ai tuoi scritti si presenta essere una figura non comune sia di donna pensatrice, con l’inserirla a pieno titolo tra i protagonisti del pensiero storico-epistemologico del Novecento,  e sia  per aver scritto una pagina poco conosciuta della stessa Resistenza;  ricordandola con te come una delle tante vittime della Shoah, Odysseo intende dare un suo contributo alla Giornata della Memoria.

Come spesso succede nella vita e anche nel percorso di chi fa ricerche, l’incontro con tale  figura femminile è stato casuale in quanto il suo nome nell’ambito della disciplina da me coltivata sin dalla tesi di laurea, la filosofia della scienza, non era di casa anche perché i pur numerosi scritti erano un po’ più noti solo ad un ristrettissimo numero di storici della scienza e della chimica più che altro per la grande mole di riferimenti ad opere di studiosi del passato non considerati per lo più veri e propri scienziati; poi è da aggiungere il fatto non secondario che allora filosofia della scienza e storia della scienza non dialogavano ancora tra di loro, quasi separate  in casa, anche se il pensiero di Thomas Kuhn  stava per entrare nei dibattiti orientati a cambiare questo stato di cose. Nonostante nelle prime pagine del suo celebre lavoro La struttura delle rivoluzioni scientifiche del 1962 la Metzger venga sì citata una sola volta col definire ‘inconsueta’ la lettura delle  opere, il pensiero rimase completamente ignoto sino alla fine degli anni ’80 quando Michel Serres fa riunire in un volume alcuni saggi di natura metodologica, scritti negli anni ’30, col titolo La méthode philosophique en histoire des sciences; quando per caso vidi una breve recensione dell’originale francese, fui incuriosito da tale titolo che poi era il titolo di una sua conferenza dove si interrogava sulle modalità con cui fare il lavoro dello storiografo delle scienze e delle idee chimiche in particolar modo con l’esporre una sua originale visione del mondo della scienza.

Ci vuoi spiegare perché nella tua post-fazione definisci la Metzger la ‘grande dimenticata del pensiero francese’ e non solo?

Com’è noto, il pensiero filosofico-francese francese del ‘900 è ricco di diverse figure e tendenze e a furia di frequentarlo anche nelle pieghe, personalmente mi sono quasi specializzato nello scovare e far conoscere figure ivi presenti che si possono definire veri e propri tesori o patrimoni concettuali soprattutto nell’ambito dei percorsi storico-epistemologici, da poco tempo oggetto di studi a livello internazionale. Ma la motivazione del crescente interesse per Hélène Metzger fu dovuta al fatto che  stavo approfondendo il pensiero di un protagonista della cultura italiana anch’esso ‘dimenticato’ e messo da parte come il matematico, epistemologo e storico delle matematiche  Federigo Enriques (1871-1946),  molto più noto all’estero,  tradotto in Francia e non solo, per suoi studi sulla struttura e la storia della conoscenza prodotta dalle varie scienze; e dato che gli scritti di questa figura non secondaria italiana venivano citati spesso dalla Metzger, mi è venuto quasi naturale saperne di più ed entrare dentro il suo pensiero che più lo scoprivo e più mi affascinava e non solo sul piano concettuale, per il suo stile di vita fuori dagli ambienti accademici per pensare liberamente. Così ho scoperto che si sono conosciuti personalmente a Parigi, che hanno collaborato a varie iniziative tese ad una stretta unione tra storia e filosofia della scienza, allora posizione minoritaria in quanto discipline separate, sino a condividere in pieno un progetto culturale incentrato sulla comune idea di ‘pensiero scientifico’ e di ‘storia del pensiero scientifico’, che solo negli ultimi tempi ha assunto una sua precisa identità grazie ai loro pioneristici sforzi. Solo per avere una idea dell’impresa teoretica della Metzger, basta tenere presente che quello che chiama ‘metodo filosofico nella storia delle scienze’ è un vero e proprio approccio ermeneutico verso la conoscenza scientifica a partire da un’analisi del tutto particolare della storia delle scienze naturali, ‘più gadameriano dello stesso Gadamer’ che, com’è noto, si era limitato alle discipline storico-sociali, come affermò negli anni  ‘80 Gad Freudenthal primo studioso del suo pensiero; infatti, nei suoi lavori sulla ‘genesi delle idee chimiche’, viene data importanza al contesto, al pensiero cosiddetto ‘pre-scientifico,’ allora completamente sottovalutato, fatto di analogie, similitudini e metafore, al ruolo di studiosi ‘mistici’ ed ‘esuberanti’ del Rinascimento e degli amateurso minori che, pur con le loro stravaganti teorie come l’alchimia, avevano preparato il terreno alla chimica come scienza di Lavoisier, con una metodologia che mette in atto il ‘farsi contemporaneo dello scienziato’ oggetto di analisi,  quasi da ‘immedesimazione comprendente’ per capirne lo spirito del tempo in cui ha operato.

Tu ci hai già su Odysseo presentato questa figura col metterne in rilievo un altro originale aspetto (Hélène Metzger: la complessità come rimedio razionale, 20 agosto 2020), relativo al suo approdare al mondo della complessità attraverso questo  modo tutto particolare di fare storia del pensiero scientifico; ma in un altro tuo lavoro del 2018 e recensito su questo stesso giornale da Antonio Musarò (Cuori pensanti: la necessità disentire e ragionare, 21 settembre 2019), sulla scia della ricostruzione dell’opera incompiuta, da te fatta tradurre nel 2014, l’hai definita  una ‘martire della ragione scientifica verso Auschwitz’ ed un ‘cuore pensante della vera scienza’. Ci vuoi spiegare che cosa intendi con tali espressioni che ci inducono a conoscerla di più e a sentirla quasi vicina?

L’ho definita  così, sulla scia di Etty Hillesum,  in quanto pur potendo e anzi aiutando molti a fuggire dalla Francia occupata, la Metzger decise, in base ai principi della sua filosofia, di rimanere e di inscriversi come ‘ebrea’ sul Comune di Lione e di combattere con le sole armi che possedeva, quelle della ragione, un regime che aveva deformato attraverso la pseudo-teoria della razza il senso veritativo della scienza, per testimoniare sino al sacrificio della vita i veri valori razionali della conoscenza scientifica prodotta dall’uomo nella sua storia che se non vengono colti nella loro reale portata vengono utilizzati per altri fini di natura politica e ideologica; ella  da storica delle scienze  ci offre una prima analisi degli effetti sociali delle nuove tecnologie dell’epoca sulla psiche umana che, di fronte ai successi della scienza e della tecnica, viene quasi abbagliata non riuscendo più ad attivare le sue facoltà critiche anche grazie al ruolo sempre crescente dei mass-media inclini non a caso a considerare quelle che sono delle semplici ipotesi scientifiche verità assolute di fronte alle quali non c’è più spazio  per la libera discussione. In tal modo si sterilizzano, si annichiliscono le capacità critiche sia a livello individuale che sociale dove prendono piede i totalitarismi (politici e non) le cui cause vengono viste in primis sul terreno culturale; e per evitare ricadute del genere in futuro la Metzger  si offre ai carnefici nazisti come testimonianza concreta della ‘vera scienza’, della ‘vera filosofia’, si fa ‘cuore pensante’ di una nuova ragione scientifica che non si rassegna ad essere deformata, e aiutata in questo dalla sua ricca storia dove viene a formarsi  e dalle stesse religioni che nei momenti critici possono supportarla a ritrovare la sua strada. In poche pagine la Metzger, vivendo l’Occupazione e cercando di darne un senso, ci propone una serie di ‘rimedi razionali’, ci dà un pensiero per il post-Auschwitz, quasi analogamente all’esperienza di Simone Weil che negli ultimi mesi della sua vita lavorò per una rifondazione morale e spirituale dell’Europa post-bellica consegnandoci un’opera come l’Enracinement.

Che ruolo ha nel percorso della Metzger quest’ultimo suo lavoro organico del 1938  Attraction universelle et religion naturelle, che hai curato con Enrico Giannetto, studioso tra l’altro del Vangelo di Giuda?

Per prima cosa è da dire che la ristampa di questo testo, dopo vari tentativi falliti di tradurlo in italiano, è stata  voluta fortemente dal  collega Giannetto, da me  coinvolto da alcuni anni nella conoscenza del pensiero della Metzger e  impegnato come storico della fisica da tempo anche nell’analisi dei rapporti tra idee  scientifiche e dibattiti teologici, sino a ritenerlo uno strumento imprescindibile per conoscere più a fondo l’impresa newtoniana nelle sue varie articolazioni, come viene spiegato nell’introduzione. Quest’opera  si distacca dai lavori precedenti più concentrati sulla storia della genesi delle idee chimiche e va inquadrata negli ulteriori interessi, sul finire degli anni ’30 da parte della Metzger verso il ruolo sociale e  antropologico avuto dalle religioni, soprattutto di quelle monoteistiche, nella storia del pensiero umano  a partire da quello scientifico anche perché sollecitata da una parte dagli studi di suo zio, l’antropologo Lucien Lévi-Bruhl e dall’altra di sociologi come Durkheim che, com’è noto, avevano dato maggiore impulso alle loro discipline studiando proprio i fenomeni religiosi.

Come sottolineato da Giannetto, il testo permette di capire l’ispirazione profonda di natura religiosa che nutre la stessa struttura della teoria dell’attrazione, del resto intravista dai suoi diversi commentatori obbligati a volte con entusiasmo e a volte con qualche timore  a fare i conti con essa interpretata insieme sia come un meraviglioso successo della ragione umana e nello stesso tempo dono della Provvidenza.  La Metzger ci offre una affresco non comune degli intensi e a volte aspri dibattiti tra teologi, scienziati e filosofi, tra coloro che avevano delle perplessità di natura teologica e tra sostenitori senza ma e senza se convinti che anche la stessa interpretazione dei  testi biblici ne avrebbe tratto dei benefici ermeneutici; se in Italia, com’è noto, le riflessioni di Galileo sul senso delle nuove verità scientifiche  portarono ai conflitti tra scienza e fede, in Inghilterra tra il ‘600 ed il ‘700 si verificò al contrario un dialogo costruttivo sia pure controverso e non omogeneo tra le verità della nuova scienza astronomica e le verità della fede. I ricchi e contraddittori dibattiti, ricostruiti attraverso una lettura dei testi dei diversi protagonisti, molti dei quali poco noti, con scrupolo filologico non comune, si concentrarono sui rapporti tra religione rivelata e religione naturale e sul contributo che una teoria scientifica poteva apportare a tale cruciale problema; e lo stesso concetto di attrazione, già studiato in altri scritti dalla Metzger e considerato uno strumento cognitivo proprio della ‘ragione analogica’, era presente nei dibattiti portati avanti da quelli che chiamava ‘scienziati mistici ed esuberanti’ del Rinascimento, come del resto lo stesso concetto di natura trovò la sua base nell’esperienza di fede di San Francesco d’Assisi per poi diventare la base della scienza moderna.

Perché quest’opera va letta e ritieni ancora valido il pensiero di Hélène Metzger?

Quest’opera da un lato permette di avere una idea più precisa di un momento decisivo del pensiero filosofico, scientifico e teologico che, pur caratterizzato da diverse tensioni, gettò le basi della specificità dello spirito europeo basato sulla tolleranza, sulla circolazione delle idee e sulla libertà di espressione, fatto che non dobbiamo mai dimenticare; dall’altro è espressione di un modo non comune e non riduttivo di interrogare la nostra storia come esseri pensanti con più ispirazioni, da quella cognitiva propria delle scienze, che viste nella dimensione storica non sono afflitte dal virus dell’onniscienza, a quelle più di senso viste in una prospettiva di insieme. Questa è una esigenza oggi più che mai avvertita da diverse parti per evitare restringimenti ideologici sempre in agguato; ed Hélène Metzger, come donna e pensatrice, ne è stata un esempio concreto, ha quasi incarnato questo bisogno umano primario, prima di essere concettuale, e ce lo ha proposto come ‘rimedio razionale’ da alimentare sempre con continui eventi di verità, che si manifestano come tali nel vivere le ‘contraddizioni del reale’ e ‘senza mentire’ su di esse come ammoniva Simone Weil. Le scienze, ci insegna la Metzger, pur con tutti i loro limiti, sono un continuo non mentire sul reale e, se ben ‘rettamente comprese’ come dicevano sempre negli stessi anni e quasi con identiche parole Pierre Teilhard de Chardin e Gaston Bachelard, costituiscono un indispensabile vaccino contro ogni tentazione di tipo totalitario e da ciò deriva la loro specifica dimensione spirituale con l’apertura verso altre dimensioni; ed è stata questa straordinaria figura femminile non solo a pensarlo, ma a viverlo coerentemente sino in fondo e per questo la ritengo uno dei rari esempi di ‘martire della ragione scientifica’ da conoscere. E la Giornata della Memoria ci offre una occasione per non dimenticarla e per farne tesoro.


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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...