La politica generativa è quella che si crea quando l’amministratore smette di chiedersi “quante risorse stanzio” e inizia a chiedersi “quante risorse attivo”, di qui il suo nome. A chiamarla così è stato Guglielmo Minervini che ha provato a teorizzarla nell’omonimo libro, recentemente uscito per Carocci.
Guglielmo Minervini, classe 1961, è uno che ha vissuto in prima linea tutte le fasi della cosiddetta “primavera pugliese”: il crearsi delle condizioni, il momento di massima espansione con il governo Vendola, l’assetto odierno. Ascoltare lui, significa allora approcciarsi all’intera vicenda da un punto di vista privilegiato, ed è quello che si fa leggendo il suo libro.
Un saggio di un centinaio di pagine diviso in due parti. Nella prima si analizza il contesto, la necessità, i connotati, i risvolti di una politica definita, appunto, generativa; nella seconda un lungo confronto con il giornalista e scrittore Alessandro Leogrande disegna un affresco mai così nitido di quello che hanno significato 10 anni di governo di sinistra in Puglia.
Le due cose sono giustamente presentate insieme, poiché l’una probabilmente non sarebbe mai nata senza l’altra, e viceversa. Forse nel testo sarebbero dovute comparire in ordine inverso. Sì, perché se non si ha idea del percorso seguito dall’autore durante il suo impegno politico, non si capisce a che titolo poi affronti i temi toccati. Minervini la politica generativa prima l’ha fatta e solo ora gli ha dato un nome, provando a parlarne organicamente.
Allievo di don Tonino Bello, dal 1994 al 2000 è sindaco di Molfetta, il primo di sinistra dopo molti anni. Per definire quel periodo in seguito si parlerà di “stagione dei sindaci”: in diverse città pugliesi si elessero infatti primi cittadini che provarono a governare in maniera progressista i propri territori, seguendo vie spesso inaudite. In questo lasso di tempo, si spiega nel libro, si misero i germogli che in seguito sbocciando avrebbero dato vita alla primavera pugliese.
Ciò avviene nel 2005, con l’insediarsi della prima giunta Vendola. L’ex sindaco è nominato Assessore regionale alle Politiche Giovanili, ed è ricoprendo questa carica che progetta e implementa politiche che diverranno celebri ben oltre il territorio regionale. L’idea alla base è che solo puntando sulla creatività e sulle tracotanti energie dei giovani ci sarebbe stata una rinascita della regione.
Ecco allora gli interventi messi in atto, diventati poi casi di studio e meritori di premi internazionali. Uno su tutti, “Bollenti spiriti”, macroprogetto declinato al suo interno in iniziative indirizzate ad ambiti differenti. Fra queste “Principi Attivi”, con cui finanziare proposte di gruppi informali di giovani pugliesi; “Laboratori Urbani” con cui recuperare immobili in disuso da trasformare in spazi sociali; “Ritorno al Futuro” con cui finanziare master a studenti ad inizio carriera; “Libera il Bene” per il riutilizzo di beni confiscati alla mafia.
Sulla base di questi esempi diventa più semplice allora capire di cosa parliamo quando parliamo di politica generativa: “Usare le risorse pubbliche, limitate e insufficienti, come leva per mobilitare il diffuso patrimonio di risorse latenti che giacciono sottopelle nella comunità. E, dunque, le politiche generative producono più valore di quanto ne spendono, raccolgono più di quanto seminano”.
Questa politica è allora innanzitutto parsimoniosa, non elargisce fondi a pioggia, è invece pensata per amministrare in periodi di crisi. È una politica in ascolto, non eterodiretta dall’alto, ma attenta a cogliere le spinte che autonomamente cercano di emergere. Una politica relazionale, basata su un rapporto di fiducia fra cittadino e amministrazione, utile a riattivare i legami comunitari.
In essa si evidenzia anche una direzione nuova che potrebbe seguire il meridionalismo: “Come rompere la spirale perversa del discorso sul Sud, […] se non trasformandolo nel più avanzato laboratorio sperimentale di politica generativa? Come si può pensare di cambiare il Meridione senza attivare i meridionali?”. Minervini nel testo si spinge anche a trattare di una “democrazia generativa” o di “partito generativo”. Gli spunti sembrano interessanti, ma i temi risultano solo accennati, restando in attesa di trattazioni più adeguate.
L’intento generale del libro sembra allora quello di “mettere in sicurezza” quanto di buono c’è stato in un’esperienza politica che in un dato momento sembrava pronta per essere proposta alla nazione intera. “Pugliamo l’Italia”, si diceva. “Poi qualcosa si è rotto” spiega l’autore nelle battute finali.
Ma se le carriere politiche si esauriscono, le idee invece, è noto, possono camminare sulle gambe di chiunque ci stia. La politica generativa sembra allora questo: l’ideale che si è voluto trarre da un’avventura politica non comune, ad opera di chi in prima persona quell’avventura l’ha vissuta: “Il popolo del cambiamento è cresciuto e sarà difficile fare sulla testa di quel popolo scelte che vadano in direzione contraria. […] Oggi è ricco di una consapevolezza fondamentale: si può fare. E sulla Puglia che fa, è lecito riporre le nostre speranze”.