«Un guerriero della luce non dimentica mai la gratitudine. Durante la lotta è stato aiutato dagli angeli. Le forze celestiali hanno messo ogni cosa al proprio posto, permettendo a lui di dare il meglio di sé. I compagni commentano: “Com’è fortunato!” E talvolta il guerriero ottiene assai più di quanto le sue capacità consentano. Perciò, quando il sole tramonta, si inginocchia e ringrazia il Manto Protettore che lo circonda. La sua gratitudine, però, non è limitata al mondo spirituale: egli non dimentica mai gli amici, perché il loro sangue si e mescolato con il suo sul campo di battaglia. Un guerriero non ha bisogno che qualcuno gli rammenti l’aiuto degli altri: se ne ricorda da solo, e divide con loro la ricompensa»

(P. Coelho)

Venerdì pomeriggio, era dentro un luminoso inverno: costruiva settimanalmente le lezioni per i suoi studenti universitari, ancora chiedendosi come ci fosse finita dietro quella cattedra… eppure lo sapeva, solo non era destinata a capacitarsene.

Le cose venivano a braccio: perfettamente studiate e sedute sul letto di un rigoroso fiume metodico, ma da sole, così arrivavano. Con lei a tenere quel corso c’era il titolare di cattedra, che non era mai al corrente di dove lei sarebbe andata a parare, si fidava e aveva chiaramente la rarissima capacità di starle dietro come fosse perfettamente a conoscenza di tutto.

Quel pomeriggio la necessità arrivò impellente: era indispensabile che i loro studenti capissero cosa significa avere una mente convergente e cosa significa, invece, averne una divergente.

E la divergenza, così, venne tutta: lei chiariva il concetto, il titolare di cattedra afferrò al volo non solo quello, ma anche il pennarello per disegnarla alla lavagna con numeri e rettangoli quella storia. Una danza perfetta di neuroni che resero quell’aula viva in ogni angolo, sangue caldo dietro ogni banco, passione in ogni sguardo. E niente, non esiste teoria in grado di passare un insegnamento più dell’esempio. E quel giorno era proprio l’esempio pratico, sincero ed improvvisato ad averla fatta da padrone.

C’erano due menti divergenti che, senza il minimo accordo, si stavano dicendo e stavano dicendo che la convergenza, almeno in quel frangente, doveva sparire.

Martedì mattina, era dentro una pacata estate. Chiunque, lei stessa, era certa del fatto che fosse il lungo momento del meritatissimo riposo. La stasi e la peccaminosa accidia. Voluta, cercata ed impunemente dichiarata. Pareva… solamente pareva, perché una persona divergente ha una vita divergente. Per forza di cose.

E la vita, si sa, fa sempre e comunque quel che le pare: il punto è che se l’aiuti, lei ti aiuta. Se le credi, lei ti apre le porte; se l’immagini davvero già come la vorresti, come l’idea fosse già un fatto, la vita trasforma l’iperuranio in realtà.

E lo so che sembra il discorso di una pazza da rinchiudere in manicomio: ma ancora una volta, sembra, solo sembra.

In realtà era solo il discorso di quella lucidissima e fiduciosa divergente, che non poteva rimanere nella stasi per un tempo troppo lungo. Era arrivato ancora una volta il croupier dell’esistenza a dare il via alla roulette e lei non faceva che fare ciò che le riusciva meglio.

Fuori rimaneva impassibile e serenissima, come fosse la Repubblica di Venezia: non esisteva anima viva che avrebbe potuto nemmeno immaginare il contrario, ma dentro al confine aveva dato il via al nuovo e futuro fermento.

Com’era giusto fosse, il disegno non poteva vederlo, ma sapeva che il suo non era finito: aveva ancora da fare. Aveva visto le prossime fonti di luce, e nella più totale cosciente incoscienza, aveva preso a ruminare, fermentare, sistemare i pezzi del puzzle.

Come quel qualcuno notevolmente più alto di lei aveva detto in un’epoca diversa: quando si guarda fuori dalla finestra, in realtà si sta lavorando.

E allora sia, si disse: al lavoro, con l’odore del mare dentro al naso, la sabbia sotto i piedi ed il vento fra i capelli.

Gli scorni di chi crede che la realtà sia solo quella che si vede intanto, scatenavano un ulteriore ricordo: (…) Un guerriero della luce non perde tempo dietro alle provocazioni. Ha un destino che deve essere compiuto. (…) Nel momento in cui comincia ad avviarsi, un guerriero della luce riconosce il Cammino. Ogni pietra, ogni curva, gli danno il benvenuto. Egli si identifica con le montagne e i corsi d’acqua, scorge parte della propria anima nelle piante, negli animali e negli uccelli della campagna. Allora, accettando l’aiuto di Dio e dei Suoi segnali, si lascia condurre dalla propria Leggenda Personale verso le incombenze che la vita gli riserva. Alcune sere non ha un posto dove dormire, altre soffre d’insonnia. “Questo è coerente,” pensa il guerriero. “Sono io che ho deciso di procedere lungo questa strada.” In questa frase è riassunto tutto il suo Potere. Egli ha scelto la strada che sta percorrendo, e non ha nulla da recriminare (P. Coelho).


FonteFoto di Larisa Koshkina da Pixabay
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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.