
Un orgoglio pugliese sul tetto del Mondo. Lo scorso 2 luglio, infatti, a New York, lo stilista andriese Domenico Vacca si è visto conferire il Premio Eccellenza Italiana e Ambasciatore del Made in Italy nel Mondo, un’affermazione internazionale che ha scelto di condividere con i lettori di Odysseo
Ciao, Domenico. Che sensazione ti ha dato ricevere dal Presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, il “Premio Eccellenza Italiana e Ambasciatore del Made in Italy negli Stati Uniti”?
Una grande emozione. Ho ricevuto diversi premi ma questo, arrivato dal Presidente della tua regione natale, riconosce il lavoro fatto nel promuovere il made in Italy e il made in Puglia all’estero. Essere considerato un’eccellenza italiana è per me un grande onore che conferma che tutto il lavoro, del mio team e mio, basato sulla qualità, senza compromessi, delle nostre collezioni di moda, ha un suo senso e alla fine paga e ci rende orgogliosi.
Durante la consegna del riconoscimento, a New York, lo scorso 2 luglio, hai avuto modo di incontrare la Onorevole degli italiani all’Estero, Fucsia Nissoli, e la Presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati. Nel periodo storico che stiamo vivendo, in cui si intende sfiduciare, almeno a parole, la delocalizzazione attraverso il decreto dignità del nuovo Governo gialloverde, quali proposte concrete dovrebbero presentare le Istituzioni per limitare la fuga dei cervelli?
Creare opportunità di lavoro concrete. Dare la possibilità ai giovani di inserirsi nel mondo del lavoro con degli stage, come si fa negli Stati Uniti, scoprendo le loro inclinazioni, le loro passioni. In seguito creare dei corsi di formazione per i lavori che ognuno vuole intraprendere, anche dopo il periodo scolastico. A 18 anni negli Stati Uniti un giovane ha fatto almeno 3 stage in 3 aziende diverse e quando inizia a lavorare continua a perfezionarsi e ad aggiornarsi nel settore in cui opera. Da noi molti giovani alla fine delle superiori o addirittura dell’università non sanno ancora cosa vogliono fare da grandi e si trovano da un giorno all’altro a dover cercare lavoro in un mondo che gli è totalmente estraneo e senza nessuno che gli faccia da mentore, figura molto presente e importante negli Stati Uniti. L’esperienza di studio o lavorativa all’estero è importante, sopratutto se ha come obiettivo il rientro in Italia per mettere a frutto quello che si è imparato all’estero. Quando ho studiato alla Georgetown University di Washington e alla New York University di New York, dove ho conseguito i miei master, molti dei miei colleghi di studio erano asiatici, molti con borse di studio pagate dai loro paesi e società del loro paese, con lo scopo di fare un’ esperienza di lavoro di due anni negli Stati Uniti e poi subito tornare a casa per mettersi a disposizione della propria gente. Non vedo perché gli Italiani non possano fare lo stesso. Avremmo una classe lavorativa, dirigente e imprenditoriale di grandissimo livello che genererebbe senz’altro più opportunità occupazionali per tutti.
Vivendo, da anni ormai, negli USA, che impronta credi abbia lasciato l’arte creativa italiana nell’economia imprenditoriale americana?
Ritengo che il manager o imprenditore perfetto sia colui che, animato da una creatività tutta italiana, apprenda il modo di far business all’americana. Gli americani se non nascono imprenditori lo diventano, fa parte quasi del loro DNA, e poi si sviluppa ai massimi livelli già nei percorsi scolastici. In classe non ascoltano passivamente i professori ma sono costantemente invitati a discutere i temi delle lezioni, a confrontarsi continuamente con i docenti, quando arrivano a 18 anni questo sistema di apprendimento, più le loro esperienze da stagisti, li porta ad essere avanti di una decina d’anni su tutti gli altri ragazzi della maggior parte delle altre nazioni del mondo. Ma noi nel DNA abbiamo non solo una creatività artistica ma anche una naturale creatività di approccio ai problemi che ci aiuta tanto nel business. Se possiedi entrambe le predisposizioni, non ti ferma nessuno.
A tuo avviso, cosa potrebbe essere considerato, oggigiorno, “alla moda”?
Penso che essere “alla moda” oggi sia essere cittadini del mondo nel rispetto delle proprie origini e tradizioni.
Progetti futuri?
Tanti, sia in America che in Italia. L’intento è esportare le radici pugliesi Oltreoceano. L’importante, però, è che non sia un biglietto di sola andata…!