A proposito dell’ultima fatica di Saviano…

“Gridalo quando ti costringono alla banalità della semplificazione”.  E ancora: “Oggi per me la storia è la storia delle persone che hanno combattuto con le parole”.

Sono alcune delle belle parole con cui Saviano condisce e imbottisce il suo libro. Un diluvio di parole, necessarie come retoriche, con cui si costruisce una barca sicura che lo traghetterà nell’oceano di tante vite dimenticate come celebri.

Lo scopo? Autocelebrare se stesso e l’immensa cultura nutrita di cultura e impressionare il lettore, condurlo verso ragioni e principi che non possono essere sempre universali e sacri: al contrario del tutto personali. Perché se agli uomini che siamo fossero interessate le parole libertà, giustizia, verità, oggi saremmo tutti liberi dalle religioni come dalla politica ostaggio di quest’ultima. Sognare un mondo migliore, ricordando altri esseri umani che semplicemente non hanno avuto paura mentre il mondo attorno ne aveva. È la polis così come la intende Saviano. Sono i suoi occhi e il suo cuore e la sua testa però confezionati, venduti a 22 euro come rimedio ai mali di una vita che più cerchi di viverla decentemente e più ti frega.

“Gridalo”, l’ultimo libro di Roberto Saviano. È una specie di paladino dell’intelletto e della scrittura, di una sinistra che non esiste più se non in certi salotti letterari e in certe trasmissioni televisive: ed è un bene che ci siano format di natura culturale nella Tv di Stato che siamo obbligati a pagare ogni anno. Il suo primo libro “Gomorra” ha guadagnato la fama ma anche una vita sotto scorta e non è da tutti rinunciare all’età di circa 26 anni a vivere una vita normale per avere denunciato fatti di mafia. Ma è sufficiente a garantirgli una rendita di parole, monologhi, articoli, sceneggiature e libri. Altri sono morti da “servitori dello Stato” e meno ricchi, hanno targhe commemorative in tribunali e uffici pubblici.

La televisione, i social media, lo hanno trasformato in un tuttologo, in un “masaniello” pronto a “gridare” e “sgridare” il potere, i potenti, una sorta di giudice popolare con la vocazione per i soprusi presenti e passati. Eppure è un giovane uomo, genuino, umile, uno di noi all’apparenza.

All’inizio, in apertura del suo “Gridalo”, all’apice della sua “Mappa” vi è una citazione: “è l’universo che grida il suo essere vivo. E noi siamo una di quelle grida”.

Ora, noi tutti, comuni mortali, siamo invitati da Saviano, nella vita privata come lavorativa, nelle pause a “gridare” contro le ingiustizie e i torti mai rimediati: a differenza sua, dobbiamo solo trovare il tempo libero di farlo perché non sempre ci aspetta comoda e ossequiosa una telecamera o una libreria o una testata giornalistica. Noi si vive di stipendi, quando siamo fortunati. Chi ha provato ad alzare la voce, a pretendere diritti riconosciuti con il proprio datore di lavoro è stato magari licenziato.

Racconta di uomini e donne la cui vita viene portata d’esempio, viene analizzata con un linguaggio mai forbito, semplice, con ricchezza di particolari non indifferente. Si sente che conosce le vite degli altri, che ci si nutre.

Ma il senso di quelle vite raccontate qual è? Hanno reso migliore il mondo, si sono sacrificate per il bene comune o solo arricchito la mente di Saviano di aneddoti?
Sembra un esercizio erudito, un discernere senza causa, un “gridare” solo per il piacere egoistico della propria voce.