
Da qualche giorno è terminata la seconda serie di “GOMORRA”: un vero e proprio successo che ha tenuto incollati al teleschermo milioni di telespettatori, ma non (sempre) cittadini.
Gomorra nasce da un libro, che ha contato milioni di copie vendute nel mondo, scritto da Roberto Saviano, giornalista e scrittore, da anni sotto scorta, che ha giocato un ruolo importante nella guerra contro il potentissimo clan dei casalesi.
Gomorra è una grande fotografia della camorra: palazzoni in cemento e giovani vite ostaggio della violenza a tratti tribale; degrado e totale assenza dello Stato; potere incontrastato, di pochi, nutrito dall’indifferenza dolosa di molti.
Gomorra è un occhio che permette di osservare, nonostante i filtri cinematografici, una realtà, lontana dalla finzione e, pienamente conforme alla verità.
Gomorra sono i Savastano: potente famiglia camorristica che, con violenza e infami complicità, è diventata Stato laddove lo stesso Stato si è reso volutamente fantasma.
Gomorra sono “i ragazzi del vicolo”: giovani resi bestiali dall’utilizzo, inconsapevole ed incontrollato, di cocaina; mani che non praticano carezze ma pigiano, con facilità e lucidità, un grilletto per annientare altre vite dannate ma, in alcuni casi, innocenti.
Gomorra è “l’immortale”: Ciro De Marzio, un giovane criminale desideroso di scalare frettolosamente la piramide gerarchica del clan. Una scalata spericolata, durante la quale ogni piccola, e apparente, conquista comporta una grande, e lacerante, perdita: la brama di raggiungere la cima che genera la cecità in un criminale che non esita ad uccidere una moglie e a permettere che altre iene, affamate di sangue, pongano fine alla breve esistenza di sua figlia.
Gomorra sono i tanti quaquaraqua, deputati ad amministrare la res publica, che in cambio di costose regalie diventano servi sciocchi e traditori dello Stato, agevolando l’antistato nell’acquisizione di questo o quell’altro appalto.
Gomorra è un figlio che arma la mano dell’assassino di sua madre per assassinare nuovamente, ma questa volta suo padre: Genny Savastano, il ragazzino viziato che diventa criminale spietato.
Gomorra è Secondigliano, Scampia, ma forse l’Italia intera: dove i clan si spartiscono le “piazze”; i cittadini non vedono, non sentono, non parlano e dove lo Stato, sempre più silente, diventa vergognosamente assente.
Gomorra è un sinergico, e perfetto, intreccio tra finzione e realtà: un amalgama foriero di innumerevoli paradossi. Si pensi, ad esempio, al seguente binomio: telespettatori-cittadini. I primi, con curiosità e dedizione, seguono costantemente, dinnanzi ad uno schermo, le gesta dei loro “beniamini”, mentre i secondi si guardano bene dal vedere e denunciare, oggi come ieri, le azioni deplorevoli poste in essere dai grandi criminali – non si spiegherebbe altrimenti il motivo per il quale, in Italia ancora oggi magistrati, poliziotti e cittadini sono scorati perché “colpevoli” di fare il proprio dovere – o dai topini di fogna, pardon di quartiere. Telespettatori e cittadini: categorie coincidenti o divergenti?
Gomorra è anche l’occasione ghiotta per tante sagome di far conoscere, al mondo, la loro esistenza pronunciando frasi impregnate di moralismo grondante di ipocrisia: “Gomorra è un male: sussiste un forte rischio di emulazione”.
Gomorra dovrebbe invece spronare, non le diverse categorie sociali, ma le singole persone ad essere occhi vigili, capaci di conoscere attentamente la realtà che li circonda informandosi e non voltandosi dall’altra parte.
In conclusione, Gomorra è semplicemente la finzione che, con forza e senza filtri o censure, mutando rappresenta la triste realtà.
Realtà che fa rima con verità e quest’ultima, si sa, è indigesta ai più.