Nessuna riconoscenza per i militari italiani imprigionati nei lager, anzi…

Aveva appena vent’anni, Lina, tua madre, e “beltà splendea nei suoi occhi ridenti e fuggitivi”. Era sola, quel giorno nell’umile abitazione, priva di acqua corrente, munita di traballante cantaro, ma baciata dai colori e dagli odori di un giardino, illeggiadrito da un cielo, verde di pampini, smagliante di rose e giacinti, tappezzato di acetosella. Suo marito, sergente maggiore dell’esercito italiano, bussava sovente al suo cuore, ma era lontano, di stanza a Bari, e lei ne avvertiva, eccome!  la mancanza.

Con il passa parola, di porta in porta, si era diffusa la voce che, il giorno prima, il 12 settembre, undici vigili urbani e due netturbini barlettani erano stati fucilati dai tedeschi, primo atto di rappresaglia, compiuto dai nazisti su territorio italiano.

La paura lievitava a vista d’occhio nel sensibile animo della tua adorata mammina, come il pane che aveva impastato all’alba. Il ritmo dei suoi palpiti accelerava progressivamente, e tu eri inquieto. Piangevi. A più riprese. Ad intermittenza.

Non appena la giovane puerpera seppe che militari tedeschi stavano perlustrando abitazioni del vicinato, i suoi occhi smisero definitivamente di sfavillare, ed il terrore si impadronì di lei, soggiogandola. Tremava come un giunco di palude, temeva per la sua incolumità e fibrillava per la sua creatura, venuta al mondo da meno di un mese.

Attaccò al prospero seno il piccolo che, incontenibile, strillava anche per la fame e sotterrò, subito dopo, il ritratto del duce. Poi, teneramente lo avvolse in una copertina e, terrorizzata, a passi lesti raggiunse l’uscio. Guardò, circospetta, la bianca strada polverosa, da un lato e l’altro, e… di filato si saettò nella prospiciente casa di Pasqua, sua amica, giovanissima come lei.

Il giovane marito della signora Pasqua, soldato di stanza nel Friuli, l’8 settembre alla dichiarazione dell’Armistizio aveva abbandonato l’esercito di appartenenza e con un rocambolesco viaggio sul tetto di un treno, era giunto a Barletta dopo tre giorni.

Alla notizia delle perquisizioni, temendo di essere arrestato e tradotto in Germania, escogitò un piano, che funzionò alla grande. Quando, infatti, tedeschi, armati di tutto punto, bussarono a casa sua, fingendo di essere un povero scemo di villaggio, piangeva a dirotto ed accarezzava convulsamente una gallina che poco prima aveva scannato con le sue mani ancora insanguinate. I militi tedeschi, nell’assistere a quella grottesca sceneggiata, si sbellicarono dalle risate.

Perlustrata la misera dimora e, vedendo di avere a che fare con donne, bambini, anziani ed un disabile andarono via senza torcere un capello. Altrove, però, le cose andarono diversamente. Infatti, oltre 680.000 soldati e ufficiali italiani vennero catturati, disarmati e deportati.

I prigionieri, traditi dal Re, dal Governo, dai Comandi militari e dallo Stato Maggiore Generale, dovettero subire angherie, ritorsioni, rappresaglie e vendette da parte degli inferociti tedeschi, sentitisi traditi. Stipati in carri-bestiame, restarono senza assistenza, giorni e notti infernali, per l’intero tragitto, senza poter provvedere decentemente ai bisogni corporali. Come racconterà Primo Levi, in “Se questo è un uomo”, ma nella sua testimonianza, ancora più drammatica era la condizione disumana in cui versavano donne, vecchi e bambini, a cui veniva strappato persino il pudore.

Arrivati in Germania o nei territori occupati, vennero segregati in campi di concentramento per prigionieri di guerra, cintati da due o più ordini di filo spinato, guardati a vista dall’alto da sentinelle munite di mitra.  Feroci percosse, insulti e umiliazioni, all’ordine del giorno, piovvero sui malcapitati, come un’incessante gragnola, destabilizzante il fisico e l’animo. L’esiguo denaro in loro possesso, oggetti di valore e cari ricordi finirono definitivamente nelle avide mani degli aguzzini.

Faticavano duramente per 10-12 ore negli stabilimenti industriali che producevano armi e munizioni, scavavano trincee a ritmo serrato. Al rientro nelle baracche ingurgitavano per fame e disperazione brodaglia insipida ed un tozzo di pane ammuffito. Quasi tutti, per il periodo della prigionia, continuarono ad indossare la vecchia divisa militare che portavano al momento della cattura.  Le pessime le condizioni igieniche, personali ed ambientali, consentivano ad indaffarati stuoli di cimici e pidocchi di pullulare rigogliosamente sui loro scarni corpi.

Dopo il settembre del 1944, per l’intervento della Croce Rossa Italiana vennero trasferiti in cantieri civili, lungo le ferrovie o nei campi, ma la razione alimentare e la qualità del cibo non migliorarono, né venivano loro consegnati i pacchi spediti dalle Associazioni Umanitarie e dalle famiglie.

Finalmente, nel 1945 arrivò la liberazione, grazie all’Esercito Russo ed all’Esercito Alleato. Però, mentre gli internati inglesi e del Commomwealth, rifocillati e disinfestati, dopo veloci identificazioni, furono immediatamente rimpatriati nei loro rispettivi Paesi, molti italiani vennero trattenuti per diversi mesi, per la lentezza delle identificazioni ed autorizzazioni da parte del Regio Esercito Italiano, ancora molto disorganizzato.

I prigionieri, liberati dai Russi, ufficiali e militari di truppa, trattenuti sul territorio di occupazione, finirono in campi di prigionia sul territorio sovietico. Di loro, pochi, ritornati sani e salvi, potettero riabbracciare i cari congiunti.

A raccontare, con  voce strozzata dall’emozione, le drammatiche esperienze vissute dai militari italiani, caduti nelle mani tedesche, è lo studioso Vitoronzo Pastore autore di “Stammlager, l’incubo della memoria” un monumentale catalogo di documenti in tre volumi, presentato il 23 aprile in occasione della giornata del libro nel castello Svevo-Angioino di Bisceglie.

La lodevole iniziativa, ideata e cantierizzata dall’Unesco e dall’Archeoclub, registra il coinvolgimento culturale ed emotivo di una nutrita schiera di partecipanti, che vedono scorrere su uno schermo immagini di documenti e foto, e fremono nell’ascoltare letture drammatizzate.

Interviene, poi, irrefrenabile nell’eloquio, Luigi Palmiotti, orgogliosa icona della cultura materiale e spirituale della sua terra, presidente dell’Archeoclub locale da circa 35 anni, raccontando le testimonianza di cittadini da lui intervistati nel tempo, che erano stati internati nei campi di prigionia.

Mauro Napoletano, venditore ambulante di indumenti, a Bisceglie, fu inviato nell’isola di Santa Maura a combattere contro la Grecia. Dopo l’armistizio, catturato dai tedeschi venne avviato nel lager di Buchenwald, dove era stata internata, sotto falso nome, Mafalda di Savoia. Vestita come una stracciona macilenta, la principessa, ferita durante un bombardamento alleato, fu ricoverata in condizioni gravissime.

Alfonzo Mezzina, guardia di finanza di Molfetta che al ritorno in patria si dedicherà all’editoria, si salvò per miracolo all’arrivo degli anglo americani, mentre i tedeschi sparavano a più non posso e bruciano ogni cosa, perché non rimanessero tracce del loro efferato agire.

Giovanni Di Molfetta, biscegliese, studiava al seminario, al momento del reclutamento, per diventare sacerdote. Fu inviato in Grecia all’ospedale militare di Atene che curava feriti italiani e tedeschi. Era tenuto in grande considerazione, perché conosceva oltre all’italiano il tedesco, il francese e l’ebraico. Catturato dagli anglo americani venne portato in Egitto. Dopo molti anni vissuti a Giaffa in Israele, ritornato in Italia, si dedicò all’insegnamento.

Pedone Antonio fu inviato nel terribile campo di concentramento di Hinzert, a poca distanza da Treviri, che raccoglieva anche oppositori del regime. Secondo gli atti dei processi, le SS giustiziavano i prigionieri iniettando dosi letali di cianuro oppure li lasciavano morire per denutrizione. I corpi, poi, ardevano nella vicina foresta.

Mauro Colamartino, panificatore biscegliese, catturato in Grecia, venne internato in Germania. Dopo essere stato tradotto in diversi lager fu assegnato definitivamente come infermiere a Braunau. Grazie all’arrivo degli anglo americani potrà rivedere il suolo patrio.

Ai militari italiani, per le loro benemerenze e le inenarrabili sofferenze nei campi di prigionia, venne elargita, generosamente una croce miliare. Salti di gioia, euforia alle stelle, grande gaudio! Un trofeo di inestimabile valore venale per coloro che avevano abbandonato campi, botteghe, officine ed uffici per servire la patria, e, tornando in patria, dovevano rimboccarsi le maniche per sbarcare il lunario. Neppure l’ombra di legittimi riconoscimenti finanziari od occupazionali. Ingrata Repubblica Italiana, che continuerà fino ai nostri giorni in mille occasioni, a non amare i suoi figli, tradendo di fatto i principi della Costituzione!

Ti aspetti che il pregevole convegno si concluda con la compunzione che merita, ed senso di rispetto per le persone che vengono commemorate, invece, una selva di smartphone e macchine fotografiche concitatamente si assiepa, immortalando targhe, sbaciucchiamenti, abbracci e sorrisi compiaciuti che sviliscono l’iniziativa. Insomma, tutto a tarallucci e vino. Peccato!


Articolo precedenteIl club di Michele: una lettura itinerante tra i banchi del “Nuzzi”
Articolo successivoGIORGIO LA PIRA, IL SINDACO E IL COSTITUENTE
Percorso scolastico. Scuola media. Liceo classico. Laurea in storia e filosofia. I primi anni furono difficili perché la mia lingua madre era il dialetto. Poi, pian piano imparai ad avere dimestichezza con l’italiano. Che ho insegnato per quarant’anni. Con passione. Facendo comprendere ai mieli alunni l’importanza del conoscere bene la propria lingua. “Per capire e difendersi”, come diceva don Milani. Attività sociali. Frequenza sociale attiva nella parrocchia. Servizio civile in una bibliotechina di quartiere, in un ospedale psichiatrico, in Germania ed in Africa, nel Burundi, per costruire una scuola. Professione. Ora in pensione, per anni docente di lettere in una scuola media. Tra le mille iniziative mi vengono in mente: Le attività teatrali. L’insegnamento della dizione. La realizzazione di giardini nell’ambito della scuola. Murales tendine dipinte e piante ornamentali in classe. L’applicazione di targhette esplicative a tutti gli alberi dei giardini pubblici della stazione di Barletta. Escursioni nel territorio, un giorno alla settimana. Produzione di compostaggio, con rifiuti organici portati dagli alunni. Uso massivo delle mappe concettuali. Valutazione dei docenti della classe da parte di alunni e genitori. Denuncia alla procura della repubblica per due presidi, inclini ad una gestione privatistica della scuola. Passioni: fotografia, pesca subacquea, nuotate chilometriche, trekking, zappettare, cogliere fichi e distribuirli agli amici, tinteggiare, armeggiare con la cazzuola, giocherellare con i cavi elettrici, coltivare le amicizie, dilettarmi con la penna, partecipare alle iniziative del Movimento 5 stelle. Coniugato. Mia moglie, Angela, mi attribuisce mille difetti. Forse ha ragione. Aspiro ad una vita sinceramente più etica.