
La realtà oltre l’apparenza, limiti dell’essere umano che ci definiscono come raminghi navigatori della conoscenza degli altri e di se stessi. “I vestiti che non metti più” (Dialoghi Editore) è la silloge che l’autore Luca Murano dedica a coloro che smarriscono un’identità per poi ritrovarsi in abiti più confortevoli e veritieri.
Ciao, Luca. Quale urgenza si cela dietro la tua silloge “I vestiti che non metti più”?
La ‘mission’ di questi racconti, se così possiam dire, è tentare di mostrare i protagonisti per quello che sono quando nessuno li osserva (o quando credono che nessuno li stia guardando). Il ritratto che ne vien fuori, però, non è sempre benevolo. Anzi, molto spesso i personaggi vengono filtrati da lenti che ne mettono in risalto difetti, nevrosi e goffaggini più o meno evidenti. Ma è proprio così che, inconsapevolmente, restituiscono autenticità al lettore. La loro vulnerabilità è il fulcro attraverso il quale si declinano queste storie.
Sono davvero gli outfit a dire chi siamo o l’abito non fa mai il monaco?
Gli outfit dicono quello che vorremmo essere, ma l’immagine che comunicano al prossimo non coincide spesso con quella che si desidera mostrare. Sovente, infatti, sono solo maldestri camuffamenti, che val la pena comunque indagare, e che dicono molto del personaggio che si ha davanti, più dei dialoghi e, talvolta, persino della voce narrante.
Perdersi è sempre la condicio sine qua non per ritrovarsi?
‘Perdersi’ è lo scotto che paghiamo nel voler uscire dalla nostra comfort zone nel tentativo di migliorare, arricchire noi stessi, crescere. Sebbene smarrirsi non sia sempre piacevole, concordo pienamente sul fatto che sia comunque tappa obbligatoria del cambiamento individuale. Quindi perdersi, per progredire e, infine, ritrovarsi.
La finitezza dell’essere umano si delinea nel proprio disagio o nel tentativo di superarlo?
Avendo da poco perso un caro amico penso di poter provare a rispondere. L’essere umano, con la sua consapevolezza della finitezza, è un essere prezioso perché ogni momento che vive, che sia un successo, o un fallimento, ha un valore infinito. In un certo senso, è proprio la sua finitezza a dare valore al momento. Borges, nel racconto L’immortale, narra la storia di un uomo eterno. A un certo punto della storia, il protagonista incontra Omero che è, a sua volta, immortale. Di questo incontro ricorda: “Io e Omero ci separammo alle porte di Tangeri; credo senza dirci addio”. Due persone immortali non sentono il bisogno di dirsi “addio”. Ecco, il valore aggiunto della nostra ‘finitezza’ sta tutta qui. E la letteratura è un formidabile strumento nelle mani degli uomini per potersi dire addio.