“Anche le sbarre dei carcerati possono essere trasfigurate nella Porta Santa”! L’aveva detto papa Francesco nella lettera sul Giubileo della Misericordia indirizzata a mons.
Fisichella: …ogni volta che passeranno per la porta della loro cella, rivolgendo il pensiero e la preghiera al Padre, possa questo gesto significare per loro il passaggio della Porta Santa, perché la misericordia di Dio, capace di trasformare i cuori, è anche in grado di trasformare le sbarre in esperienza di libertà.
Ma il giubileo, aperto con “squilli di tromba” l’8 dicembre in S. Pietro, in realtà è già iniziato il 29 novembre a Bangui, nella Repubblica Centroafricana: nella periferia del mondo là dove il vivere è una scommessa spesso non vincente.
Non cambia il clima in una Iraq devastata dalla guerra; anche qui si apriranno le porte sante del Giubileo della Misericordia: una tenda aperta come Porta Santa da attraversare pregando per le proprie vite e per quelle dei propri cari. A varcarla ci sarà una comunità cristiana composta in gran parte da sfollati con un pensiero rivolto “ai fratelli musulmani”.
In questo giubileo straordinario mons. Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo, parla di superamento del monopolio romano e di opportunità offerta a tutti di accedere alla grazia giubilare; infatti, la Porta Santa non è aperta solo a Roma, ma in ogni Chiesa locale. Si tratta di un gesto fortemente espressivo, sia perché ribadisce significativamente il primato della Chiesa locale, pilastro del Vaticano II di cui si ricorda il cinquantenario della conclusione, sia perché non impedisce, a chi non può o non vuole andare a Roma, di partecipare ai benefici giubilari e di inserirsi nel percorso di rinnovamento che il Giubileo propone. Il pellegrinaggio nei luoghi della propria vita quotidiana, prosegue Mogavero, consentirebbe la loro purificazione, in quanto, da ambienti del proprio peccato, diventerebbero il contesto da cui far partire il progetto del proprio rinnovamento.
Tutto questo mette in forte discussione un certo business religioso, che da sempre fa parte di quel “teatro sacro” romano, rappresentato da certi pellegrinaggi giubilari autocelebrativi di stampo più o meno turistico e piacevoli, invece che autentici percorsi di conversione.
“Misericordia” viene espresso in ebraico dal termine ra-hàmìm, che indica le viscere materne che portano una nuova creatura; indicano dunque lo spazio ricavato per la vita dell’altro all’interno di sé stessi: spazio di comunione profonda, di con-sentire, di com-patire, di con-gioire. La misericordia è dunque la più radicale protesta contro l’indifferenza e il rifiuto dell’altro: è un mistero dinamico di condivisione, di comunione, nonché forza di generazione e di ri-generazione, di re-immissione nella vita e nelle relazionalità di chi da tale relazioni si era allontanato.
È auspicabile una riconciliazione, frutto della Misericordia, che vada oltre i personalismi e che trasformi politicamente ed economicamente le relazioni strutturali tra il Nord e il Sud del mondo, impegnandosi al fianco di tutti gli oppressi nella loro lotta di liberazione e nello sforzo per affermarsi come soggetti della propria storia.
La Misericordia diventa così un antidoto al mercato. È bene che la società si basi sulla giustizia e sul confronto, però poi il sistema non dà spazio ai perdenti: vince sempre il più forte, il più furbo, come nella selezione di Darwin… per questo la Misericordia è ancora attuale.