La rabbia ti farebbe urlare: “ma perché, Salvatore, ti sei scomodato?”

La guerra! L’ha vista, lei. Eccome! Non quella dei film, la guerra vera, cristallizzatasi nei suoi occhi, impauriti, sofferenti, annaspanti nel vuoto della precarietà e dell’umiliazione quotidiana. Imprigionata per sempre da un incubo inquietante. Tu non puoi capirla, la guerra. Oggi, più che mai, blandito e sedato dalle comodità e dalle futili lusinghe degli stracolmi centri commerciali, dei depositi di Amazon ed ebay.

Per coglierne la drammaticità, almeno un barlume, bisogna viverla sulla propria pelle. Come lei. Su quella delle persone care, sul marito, sui nipoti, sui vicini di casa, strappati alla vita. Spietatamente! Sulla modesta abitazione rurale, tenero bozzolo di riflessioni, desideri, emozioni, affetti, ridotto in un cumulo di macerie da una meteora, accecante, assordante, apocalittica, orgogliosamente made in Italy.

Accovacciata ai tuoi piedi, Laura A., su un pietoso cartone nella fresca domenica che precede il Natale. Del 2018. Sì, 2018 dopo la nascita di Cristo! Addossata al cancello della Parrocchia del Crocifisso, a Barletta. Alle soglie dei sessant’anni, un piattino di plastica sul selciato, qualche monetina che può diradare I morsi della fame, che fanno sanguinare le gengive.

Ti pieghi verso di lei, i tuoi occhi si tuffano nei suoi, tristi. Voce flebile, ansante. Corpo immobile. Ad un palmo dal naso, la scruti attentamente, raggiungi la sua anima, assomiglia a tua madre. Che non sia lei!? Scuoti la testa, no!, da oltre dieci anni la terra la ricopre affettuosamente. Un foulard le avvolge il viso, lasciando libera la sua capigliatura arruffata dal vento e dall’incuria. Un logoro giaccone fascia interamente il suo fragile corpo, mentre le mani, accartocciate, timidamente si celano, cercando umilmente tepore, sotto lembi di una gonna colorata.

Un tempo, una ventina di anni fa, la gamba sinistra, assieme all’altra le consentivano di muoversi agilmente nel poderetto familiare, divenuto ubertoso con i sacrifici e la fatica. Zappava, seminava, diserbava senza avvalersi del magico glifosate, raccoglieva frutta e verdura, che vendeva in campagna o al mercato, pieno di colori, voci e rumori. In conviviale relazione. Viveva… abbastanza decentemente e serenamente con il marito ed un figlio.

Poi, nella ex Iugoslavia, nel suo Montenegro, arrivò la guerra, …alimentata da conflitti etnici risalenti ad epoche ancestrali, …fomentata, come sempre, dai produttori di armi delle grandi potenze mondiali, che fingono di guerreggiare, ma si spartiscono le spoglie, svuotando gli arsenali obsoleti.  Da allora Laura si trascina con una vecchia protesi, che ti fa arricciare il naso. Mentre un pugno ti sconquassa l’anima ed avverti vertigini per la vergogna di considerarti uomo.

A quel conflitto partecipò anche l’Italia, che “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. La Costituzione, un patto di civile e umana convivenza, divenne carta straccia. Non fu l’unica occasione, anzi… E dal nostro territorio partirono raid offensivi. La deliberazione, la prese, in quell’occasione, Massimo D’Alema, Presidente del Consiglio, che ora può brindare con vini prelibati prodotti dalla sua tenuta. Amabile, secco, rosso rubino, giallo paglierino.

Lei non brinda, Laura. Fortunatamente zampillano ancora le fontane, per bere l’acqua pubblica! Lo stomaco spesso salta il pranzo. L’invalida non può raggiungere neanche la sede della Caritas, che dista molto dalla sua dimora attuale, un viadotto della 16 bis. Senza porte e finestre. Dal soffitto le tiene compagnia il fruscio delle ruote, le brusche frenate, i clacson insistenti. Persino, i tamponamenti. Ed il corpo, terrorizzato, sgomento, si inarca ed urla disperatamente.

La propria identità? Una chimera, non potendo neppure fruire di un briciolo di intimità. Per i bisogni personalissimi, la libera campagna. Dietro un albero, un cespuglio, un sasso. Solo il Padreterno si prende cura di te, se non stai bene. Neppure una carezza umana, un gesto d’affetto. Una parola amica. Vuoto sotto spinto. Solitudine assoluta.

Di notte, intirizzita, dorme (?) accampata in una minuscola tenda, dove gli spifferi si danno convegno. Direttore, Eolo. Gli occhi guardano le stelle, come i bambini, gli innamorati ed i poeti, ma non s’inebriano, quando i brividi del freddo non le danno tregua e le palpebre non possiedono la forza di chiudersi.

Ti vengono in mente le numerose notti passate all’addiaccio, facendo trekking sulle Alpi, o veleggiando a piedi sotto i più svariati cieli europei tra campi di cavoli e di orzo, rallegrati da nitriti di cavalli o in foreste di bianche tenui betulle nelle quali echeggiava lontano l’ululato di lupi. E rabbrividisci. Ma eri giovane e tu allora… vagabondavi per il gusto dell’avventura.

Un presepe nella chiesa del Crocifisso, a due passi dalla postazione della montenegrina. Ricorda che nessuno volle accogliere la partoriente Maria e suo marito. Finalmente una stalla con un bue ed un asinello, dicendo “avanti, accomodatevi!” con un muggito ed un nitrito, offrì ospitalità. Calda. Che il cuore degli uomini non era stato in grado di elargire.

Poi, accorsero umili animali, oggi, torturati, macellati per papille raffinate, e gente semplice, oggi impaurita ed angosciata, un terrore, soprattutto indotto, per il coatto arrivo, dopo una selva di pericoli, di altri poveri cristi che fuggono dall’Africa, dalla Palestina e dintorni. Per la guerra, la fame, la razzia di terre, a qua e risorse minerarie, gli sconvolgimenti climatici.

A distanza di duemila anni, a Laura ed a tanti senza tetto come lei, nonostante il rivoluzionario messaggio evangelico dell’“ama il prossimo” generato in quella tettoia, non viene ancora riconosciuta la dignità che spetta ad ogni creatura.

La rabbia ti farebbe urlare: “ma perché, Salvatore, ti sei scomodato?” Ma proprio non ci riesci, pensando che in tante contrade del mondo molti partigiani della solidarietà e dell’amore si inerpicano con abnegazione sull’accidentato sentiero della vita per alleviare le sofferenze e donare coraggio.


FontePhoto credits: Domenico Dalba
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Percorso scolastico. Scuola media. Liceo classico. Laurea in storia e filosofia. I primi anni furono difficili perché la mia lingua madre era il dialetto. Poi, pian piano imparai ad avere dimestichezza con l’italiano. Che ho insegnato per quarant’anni. Con passione. Facendo comprendere ai mieli alunni l’importanza del conoscere bene la propria lingua. “Per capire e difendersi”, come diceva don Milani. Attività sociali. Frequenza sociale attiva nella parrocchia. Servizio civile in una bibliotechina di quartiere, in un ospedale psichiatrico, in Germania ed in Africa, nel Burundi, per costruire una scuola. Professione. Ora in pensione, per anni docente di lettere in una scuola media. Tra le mille iniziative mi vengono in mente: Le attività teatrali. L’insegnamento della dizione. La realizzazione di giardini nell’ambito della scuola. Murales tendine dipinte e piante ornamentali in classe. L’applicazione di targhette esplicative a tutti gli alberi dei giardini pubblici della stazione di Barletta. Escursioni nel territorio, un giorno alla settimana. Produzione di compostaggio, con rifiuti organici portati dagli alunni. Uso massivo delle mappe concettuali. Valutazione dei docenti della classe da parte di alunni e genitori. Denuncia alla procura della repubblica per due presidi, inclini ad una gestione privatistica della scuola. Passioni: fotografia, pesca subacquea, nuotate chilometriche, trekking, zappettare, cogliere fichi e distribuirli agli amici, tinteggiare, armeggiare con la cazzuola, giocherellare con i cavi elettrici, coltivare le amicizie, dilettarmi con la penna, partecipare alle iniziative del Movimento 5 stelle. Coniugato. Mia moglie, Angela, mi attribuisce mille difetti. Forse ha ragione. Aspiro ad una vita sinceramente più etica.