I C.A.R.A. sono i centri di accoglienza per richiedenti asilo, posti da sempre al centro del dibattito sul modello di accoglienza che offre il nostro paese. Per capirci di più su queste controverse strutture ne abbiamo parlato con la dott.ssa Annarita Binetti, psicologa nella struttura di Bari.
Salve, Dott.ssa Binetti. Di quale supporto psicologico necessitano, generalmente, gli ospiti del C.A.R.A (Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo) di Bari/Palese?
Si tratta di ascolto attivo: gli ospiti si rivolgono agli psicologi spontaneamente o perchè segnalati dalla medicheria del centro poichè lamentano disturbi del sonno, inappetenza, disadattamento, disturbi post traumatici, preoccupazione per le famiglie che hanno lasciato, tristezza per la perdita dei propri cari durante le guerre dalle quali sono fuggiti o durante le traversate in mare, o anche per maltrattamenti ricevuti passando per la Libia. Gli psicologi, già dalla prima accoglienza, cercano di capire, laddove sono evidenti i segni di violenza sul corpo, o solo per la presenza di donne, se vi sono state torture in passato o violenze sessuali. Spesso questa ultima categoria di ospiti tende a chiudersi ed è lì che uno psicologo, insieme anche agli assistenti sociali, cercano di applicare un intervento, attraverso un percorso di supporto psicologico in diversi colloqui con gli interpreti o mediatori culturali, un monitoraggio costante e magari il coinvolgimento in qualche attività nel centro.
Nella psicologia tradizionale il concetto di “casa”, inteso come focolare domestico, assume un ruolo rilevante soprattutto alla luce della indegna “transumanza” che queste persone devono affrontare. Nasce da questa conditio il tuo progetto di realizzazione di un laboratorio artistico per gli ospiti?
Sì, in realtà essendo una creativa, mi è venuto in mente questo progetto con l’obiettivo di potenziare l’autostima dell’ospite, le sue risorse personali, le sue capacità di relazione fra diverse età, etnie, religioni: molto bello è stato infatti interagire con loro senza saper parlare le varie lingue poichè l’arte permette anche questo. Si è trattato di un percorso psico-educativo che ha visto coinvolgere i ragazzi nella creazione di manufatti e i risultati sono stati inaspettati, poichè si è giunti anche al miglioramento della vita quotidiana dell’ospite, quindi una vera e propria promozione del benessere.
Puff ricavati da copertoni, orologi da ruote di biciclette, bracieri da cerchioni d’auto e tavoli da pedane da trasporto. Il laboratorio artistico del C.A.R.A.di Bari/Palese è stato allestito con tue creazioni, originalissimi manufatti, frutto di un lavoro coadiuvato dalle braccia indefesse di giovani immigrati. Metaforicamente parlando, possiamo concludere che tale “riciclo” rappresenti un tentativo di cambiare la vita di queste anime e, magari, offrire loro la possibilità di reinventarsi?
Sì, il laboratorio a un certo punto ha entusiasmato tutti: direzione, operatori e ospiti. I manufatti erano ingombranti e mi è stato concesso uno spazio, parte della scuola di italiano. In questo spazio ho voluto riproporre una idea appunto di casa, utilizzando materiale povero, riciclando anche le pedane della sala mensa, per esempio. Alla fine quello spazio era una piccola casa, la casa di ciascuno di loro, la casa che ognuno può ritrovare, quel calore che ho pensato di dare loro valorizzando l’impegno e le competenze che molti portano con sè. Un clima divertente e disteso, anche grazie a diversi colleghi di lavoro disponibili a collaborare con me.
A microfoni spenti ci hai raccontato un aneddoto legato alla difficoltà di due ragazzi africani nell’ esternare la propria storia d’amore omosessuale, “colpa” punibile in Africa anche con la pena di morte. Quanta libertà hai colto negli occhi di gente arrivata senza speranza ma cresciuta con la voglia di farcela?
Libertà ma anche tanta paura, paura di essere perseguitati ancora, di manifestare la propria natura, di essere giudicati e ricevere orribili offese. E’ stato appagante aiutare chi aveva bisogno di venir fuori, far parlare la propria anima e poi rassicurarli sul fatto che in Europa l’omosessualità non è una colpa punibile.
Nei dibattiti elettorali degli ultimi giorni assistiamo, spesso, a deliranti prese di posizione di disumana connotazione. Che contributo possono garantire gli ospiti, provenienti per lo più dalle coste libiche, all’evoluzione socio-economica italiana?
Credo che le prese di posizione siano di per sè un voler chiudere le porte ad un possibile miglioramento delle cose, in tutti i settori. Personalmente invece vedo la vita nel qui ed ora ma anche con una prospettiva positiva. Chi, come me, ha vissuto questa esperienza, può raccontare cosa queste persone sono state costrette a subire e quali sono le conseguenze di tutto quello che noi, da qui, non sappiamo esista. La loro vita è stata calpestata, tanto da essere senza dignità e persino senza identità. Io non riesco a rimanere indifferente al dolore di un ragazzo che ha perso la madre durante operazioni di salvataggio, ad una donna silenziosa e in lacrime che è stata violentata e arriva incinta in Italia, ad un uomo con continui mal di testa perchè violentemente picchiato in prigione perchè privo di denaro per pagare gli scafisti. Se la nostra economia procedesse diversamente senza inutili procedure lunghe e ingenti tasse che scoraggiano chiunque, credo che la forza lavoro di queste persone potrebbe integrarsi alla nostra dando grandi risultati.
Cosa c’è nel futuro di Annarita Binetti?
Nel mio futuro c’è ancora questo: mi piace la mia professione di aiuto e mi piacerebbe svolgerla ovunque, in modo pratico e utile, per questo vorrei imparare altre lingue!