Nei giorni 22 e 23 gennaio 2018 si è celebrato ad Andria il settimo convegno liturgico diocesano. Ospite della prima serata è stato Mons. Marco Frisina, sacerdote, biblista e compositore della Diocesi di Roma, autore di circa 5oo canti conosciuti in tutto il mondo. Lo ha intervistato per Odysseo Michele Carretta, direttore dell’ufficio Musica sacra della Diocesi di Andria.

Don Marco, esiste un rapporto tra la musica e la liturgia? Se sì, di che natura è?

Il rapporto è quella che la Chiesa ha sempre utilizzato: la musica non è un abbellimento ma parte integrante della liturgia. La musica è liturgia. Oggi, dopo il Concilio, si sta cercando di dare il suo proprio ruolo alla musica, con successi alterni ma sempre nell’ottica di un miglioramento in tal senso. L’aumento dei cori parrocchiali e di quelli diocesani è un bel segno. Esiste cioè una cura e un’attenzione per dare al canto liturgico il suo ruolo determinante.

Oggi la liturgia sembra essere in difficoltà: si fa fatica ad entrare nel rito e forse si preferisce parlare a Dio spontaneamente, senza la mediazione della liturgia. Quale è la sua opinione?

Qui il problema è la fede, non solo la liturgia. È in gioco la capacità di vivere la liturgia come un atto di fede; e questo è un problema non solo di oggi. La difficoltà è nel maturare la fede verso quello che avviene nella liturgia. Essa è un momento di arrivo della fede. Prima c’è bisogno di un approfondimento personale, per poi poter gustare la liturgia. Difatti, noi siamo sempre catecumeni, la gente non capisce la realtà misterica dei riti. C’è bisogno di capire e approfondire la fede attraverso la mistagogia, cioè attraverso quel cammino che prende le mosse dai riti e dalle parole della liturgia per arrivare a comprendere e vivere da cristiani.

Può la musica svegliare la nostalgia dell’Infinito?

Senza dubbio, è questo il suo ruolo. La musica dice ciò che le parole non sono in grado di dire. Le note ci spingono verso la profondità, l’altezza. Come tutte le arti, essa ha la funzione di allargare la percezione e la comunicazione con ciò che ci circonda. E questo certamente è molto importante.

Come è possibile portare a tutti la musica, svegliare anche nei più lontani il desiderio della bellezza?

Eseguendola. La musica, come la poesia e tutte le arti, è bellezza. Se fatta bene, arriva prima al cuore e poi alla mente. In questo senso non puoi spiegarla, non puoi subito comprenderla; prima ti emoziona e poi puoi razionalizzarla. L’uomo di oggi ha bisogno della bellezza, ha bisogno della poesia, è questa è una grande sfida per la Chiesa.

Sappiamo che la Sua musica ha accompagnato la liturgie di tre Papi: Giovanni Paolo II, Benedetto XVI ed ora Francesco. Riuscirebbe ad associare ad ognuna di queste tre personalità un canto da Lei composto?

È  difficile! Quasi tutti i canti li ho composti pensando a Giovanni Paolo II. Quando penso a Lui, penso a Totus tuus – era il suo motto-, penso a Tu es Petrus, a tanti brani scritti per momenti di festa vissuti con Lui. A Papa Benedetto ho dedicato un intero Oratorio su san Giuseppe – Papa Benedetto si chiama Joseph-e una raccolti di canti in latino come Credimus, scritto per l’anno della Fede dal Lui indetto, e altri ancora come Et incarnatus est. Il messaggio di Papa Francesco è la misericordia; per questo penso all’album “Dio ha tanto amato il mondo” e specialmente al canto sulle sette opere di misericordia, Venite benedetti del Padre mio.