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La sede è di per sé evocativa, la redazione della storica rivista “Esodo”; il parterre è costituito da una versione riveduta e corretta di “eravamo quattro amici al bar”, ma gli amici non sono più di quattro e non hanno alcuna intenzione di demordere. Il relatore è di quelli di eccezione: Luigi Accattoli, il ben noto vaticanista di “Avvenire”, fresco autore, con Ciro Fusco, del volume C’era una volta un vecchio gesuita “furbaccione” (Paoline 2019); Accattoli, prima di sottoporsi ad un vero e proprio “fuoco di fila” di domande e interventi vari, tiene un discorso sul “papa Magellano”, o meglio sul punto di vista di un pontefice che, proprio come il ben noto navigatore, guarda il mondo, e in particolare l’Europa e l’Italia, da un punto di vista ben diverso da quello eurocentrico e romanocentrico a cui i nostri occhi sono abituati.

Al termine della serata, a dispetto dell’ora tarda, la tentazione è troppo forte per non chiedere all’illustre collega di concederci un’intervista. Accetta. Da par suo…

Dott. Accattoli, vuole spiegare ai lettori di Odysseo il suo “papa Magellano”?

Il riferimento del titolo della mia conversazione è a una felice metafora usata da Francesco in un’intervista del marzo 2015 a «La Cárcova News», rivista della periferia di Buenos Aires: “Una cosa è osservare la realtà dal centro e un’altra è guardarla dall’ultimo posto dove tu sei arrivato” diceva il Papa in quell’intervista. Per spiegarsi meglio portava poi un esempio: “l’Europa vista da Madrid nel XVI secolo era una cosa, però quando Magellano arriva alla fine del continente americano, guarda all’Europa dal nuovo punto raggiunto e capisce un’altra cosa”. Ho scelto di valorizzare, nella mia esposizione, quella metafora, anche a motivo del quinto centenario dell’impresa di Ferdinando Magellano: l’esploratore portoghese, infatti, partì per la circumnavigazione del globo esattamente cinque secoli fa: il 10 agosto 1519.

Per le sua rivoluzione geopolitica, papa Francesco è stato accusato di “comunismo”: lei che ne pensa?

La scelta dei poveri, di cui è portatore in quanto latino-americano e gesuita, lo espone a quell’accusa. Per comprenderla occorre tener presente che essa non è inedita per i Papi: già Giovanni XXIII era stato accusato di oggettiva alleanza con il PCI di Togliatti e con l’Urss di Kruscev dopo la pubblicazione della “Pacem in Terris” (1963); in seguito Paolo VI aveva dovuto sopportare l’accusa di terzomondismo filocomunista dopo la “Populorum progressio” (1967). Vanno poi considerati alcuni elementi specifici della predicazione bergogliana che raddoppiano il risentimento nei suoi confronti della destra statunitense e internazionale: la preferenza per le “periferie”, la solidarietà ai migranti, la scelta ecologica, l’accusa al neocapitalismo globalizzante formulata con le parole “questa economia uccide”. Francesco vorrebbe promuovere un impegno diretto della Chiesa nei conflitti e nella promozione umana: la Chiesa “ospedale da campo” che di persona presta le prime cure all’umanità insanguinata che incontra nel suo cammino. Anche questa opzione lo rende indigesto alle destre.

“Non temo lo scisma”: le parole del pontefice sono state oggetto delle più disparate interpretazioni. Vuole darci la sua?

Le ha dette il 10 settembre in aereo, tornando dal viaggio in Africa e nell’Oceano indiano, in risposta a una domanda di un giornalista statunitense, che faceva appunto riferimento alle opposizioni che questo Pontificato incontra negli Usa. Le parole esatte del Papa sono state queste: “Io non ho paura degli scismi, prego perché non ce ne siano, perché c’è in gioco la salute spirituale di tanta gente”. Alcuni l’hanno accusato di superficialità, come se avesse inteso banalizzare il pericolo degli scismi, sentendosi sicuro che non ce ne saranno. A mio parere non era questa la sua intenzione. Credo piuttosto che intendesse dire che ha la coscienza a posto davanti all’eventualità di una rottura traumatica. Se avesse infatti voluto dire che considerava inverosimile ogni scisma non avrebbe detto che prega perché non accadano. Ha detto invece, in sostanza: prego che non ci siano e faccio quanto posso perché non arrivino, e dunque non ho paura del loro eventuale arrivo. Tant’è che subito dopo aggiunse, a proposito della novità della sua predicazione cui si oppongono gli pseudoscismatici, come li chiamò in quell’occasione, che essa è “uno dei risultati del Vaticano II”. Ovvero: non si tratta di una sua originalità. In altre parole il Papa viene a dire: se c’è un rischio di divisione, questo non segue a mie opzioni arbitrarie ma alle scelte operate dal Concilio.

Quale riforma papa Francesco non ha ancora attuato e quale, invece, tra quelle attuate le sembra la più rivoluzionaria?

Vanno a rilento le riforme istituzionali o canoniche: in particolare quelle della Curia e delle finanze. Ma ve ne sono state a oggi almeno tre di forte valenza, che hanno massimamente allarmato gli oppositori e confermato gli estimatori: la costituzione del Consiglio dei cardinali per il governo della Chiesa universale (aprile 2013); la revisione del processo di nullità dei matrimoni (settembre 2015), da inquadrare nella pastorale della famiglia riformulata con “Amoris laetitia” (aprile 2016); il nuovo ordinamento del Sinodo dei vescovi (settembre 2018). Più in generale però si può dire che il primo impegno di questo Papa è nella “riforma missionaria della Chiesa in uscita”, una riforma che riguarda più la predicazione che l’istituzione. Che cioè mira a ottenere novità di vita più che nuove strutture.

Papa Francesco non è stato capito o è osteggiato proprio in quanto capito?

Possiamo dividere il corpo ecclesiale in tre settori: due ali e un vasto centrocampo. Le due ali l’hanno capito e una l’appoggia mentre l’altra lo combatte. Il centrocampo invece non l’ha capito. Magari l’applaude e simpatizza, specie per le novità di semplificazione della figura papale e del linguaggio. Ma non ha colto che “l’uscita” predicata da Francesco è impegnativa. Non si tratta affatto di un Papa che alleggerisce e assolve tutti, come pare sia stato inteso dai più: è esigentissimo e severo, come un gesuita all’antica. Basterà riflettere sul significato pratico che attribuisce all’immagine della “Chiesa in uscita”, cioè disposta ad andare “sempre” dai non credenti – come ha detto più volte – per cogliere l’urgenza della chiamata che rivolge agli ambienti sonnacchiosi del mondo cattolico, che dai non credenti non vogliono affatto andare.

Anni fa, sul suo blog, ci raccontò delle piastrelle nel sottopasso della stazione di Mestre, usate a mo’ di casella di posta: che messaggio scriverebbe oggi Luigi Accattoli a papa Francesco?

Di continuare con coraggio e pazienza nel cammino avviato. La scossa evangelica della sua predicazione è provvidenziale per la Chiesa cattolica in questo faticoso avvio del terzo millennio. Le stesse opposizioni che sperimenta costituiscono una riprova della serietà di quanto viene proponendo.


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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...