
Circa 400 gare dirette dai settori giovanili alla serie C, 133 partite di serie B e 30 gare in serie A. Stiamo parlando di Francesco Fiore, arbitro andriese ed ex assistente CAN A che, ai nostri microfoni, si racconta lungo il percorso di una carriera emozionante vissuta sul campo
Ciao, Francesco. Perché hai deciso di diventare arbitro?
Fin da piccolo ero attratto da questa figura di uomo solo oggetto di tutte le controversie, obbligato a decidere sempre in un attimo, obbligato a correre senza mai avere la gioia di esultare o di ricevere un applauso; la prima designazione è davvero casuale; a 14 anni circa Don Vincenzo Giannelli dopo la celebrazione della santa Messa mi chiede di arbitrare in oratorio una gara di ragazzini più piccoli; la mia divisa? L’abito della domenica e dei giorni festivi preparati con cura da mia madre… Da lì la voglia di riprovarci seriamente nel 2000 con il corso tenutosi nella sezione della vicina Barletta; adesso che riapro gli occhi scopro che sono passati 23 anni.
Durante una partita, qual è il momento più complicato per un direttore di gara?
Ogni partita ha una storia, ha delle difficoltà!
Essere arbitro significa vivere in parallelo tra campo e realtà sposando appieno una filosofia di vita…
Essere arbitro significa avere rispetto: rispetto per le regole, rispetto per gli altri, rispetto per se stessi.
significa avere un fuoco dentro che alimenta una grande passione;
significa avere personalità per gestire altri uomini, e sperimentare caratteristiche che ti permettono di decidere in una frazione di tempo durante uno stress fisico mentre sei sotto pressione!
Essere arbitro significa avere equilibrio; l’equilibrio che ti permette di non esaltarsi dopo una vittoria e di non disperarsi dopo una sconfitta mantenendo il controllo su se stessi e su ciò che ci circonda!
La parte più difficile, ed anche quella più naturale è decidere in maniera consapevole, gestire le proprie emozioni e comprendere quelle degli altri e perseverare nell’obiettivo facendo fronte alle avversità che in maniera inaspettata ti trovi a vivere!
In cosa ti sei sentito migliorato professionalmente dalla prima all’ultima designazione?
Se non fosse stato per gli insegnamenti ricevuti dai tanti uomini incontrarti in questo percorso sicuramente non avrei mai raggiunto questo sogno;
Ma chi più di tutti ha contribuito alla mia crescita umana e professionale è senza dubbio il compianto Stefano Farina…
Me lo ricordo nell’ottobre del 2009; ero al mio secondo anno CAN D e lui il mio nuovo responsabile; l’anno precedente lo guardavo in TV mentre dirigeva Barcellona – Chelsea, adesso me lo ritrovo a fine gara in uno spogliatoio minuscolo a Mugnano di Napoli; ricordo benissimo la sua visionatura: aveva fatto la telecronaca minuto per minuto di tutta la mia gara commentando il motivo di ogni mio fischio e anche di quelli mancati, riuscendo a dirmi anche a cosa stavo pensando; la mia reazione fu semplicemente stupore;
Dalla prima gara all’ultima sono migliorato sicuramente tecnicamente, ma anche in termini di consapevolezza, sicurezza dei miei mezzi, personalità, potere decisionale! Il ragazzino timido, indeciso e impaurito si è fatto strada in una selva oscura ed è diventato un uomo.
C’è differenza ad arbitrare dilettanti e professionisti?
Mi sono sempre definito un professionista con il cuore da dilettante!
Il dilettante deve sopperire alla tecnica con il cuore, con il desiderio ardente di raggiungere gli obiettivi tirando fuori tutto ciò che ha!
Ecco dei dilettanti ho apprezzato questo e ne ho tratto un insegnamento.
Ovviamente calcisticamente parlando c’è un abisso! La differenza la noti osservando i gesti tecnici, la velocità, l’imprevedibilità, la cura dei dettagli …
Quando hai a che fare con i professionisti bisogna aspettarsi l’inaspettato e la concentrazione deve essere totale.
La tecnologia rappresenta sempre un apporto positivo nelle decisioni di campo?
Sono un nostalgico dei tempi che furono:
Sono un nostalgico di “tutto il calcio minuto per minuto”, di 90’ minuto, e delle gare disputate tutte la stessa ora la domenica, ma in questa nuova era tecnologica e multimediale è impensabile immaginare un calcio senza la tecnologia! È impensabile immaginare che tutti sappiano cosa è accaduto in tempo reale meno che l’arbitro! La tecnologia in campo, anche se a discapito della magia dei tempi che furono, è utile a rasserenare gli animi dei calciatori, del pubblico e di tutte le persone coinvolte in una gara di calcio! L’idea di avere un paracadute che ti salva in caso di errore è soprattutto utile ai direttori di gara per approcciare al match in maniera più serena.
Che ricordi conserverai, in maniera più impressa, della tua prestigiosa carriera?
Potrei scrivere un libro sui momenti e i ricordi indelebili vissuti in questo percorso!
Sicuramente l’esordio in A in Empoli-Torino qualche giorno dopo la nascita del mio primo figlio Michele!
L’esordio a San Siro, all’Olimpico di Roma, lo Juventus Stadium, le lacrime di mio padre al San Paolo e tanti altri momenti, ma il ricordo che rimarrà indelebile è una gara di prima categoria tra Nuova Daunia Foggia e Cassano Murge! Era Il giorno del mio compleanno e qualche ora prima avevo perso mia nonna a cui ero molto legato! A lei ho dedicato un minuto di silenzio, tanta concentrazione e un pianto interminabile a fine gara.
Permettimi di dirti che tutto questo non sarebbe stato possibile senza il supporto dei miei amici , della mia famiglia e soprattutto di mia moglie Maria Carmela che, con i miei figli Michele e Gabriele, ha rappresentato per me un porto sicuro sia nei momenti di luce che in quelli più bui.