«Un giorno tu ti sveglierai e vedrai una bella giornata. Ci sarà il sole, e tutto sarà nuovo, cambiato, limpido. Quello che prima ti sembrava impossibile diventerà semplice, normale. Non ci credi? Io sono sicuro. E presto. Anche domani…»

(Fedor Dostoevskij)

 «Sono tutti molto disponibili: effetto emergenza»: ho scritto così, rispondendo ad una collega, a proposito dell’ambiente di lavoro in cui vivo…

Caro lettore, adorata lettrice,

spero tu possa dire la stessa cosa. Incominci a vedere gli effetti positivi dell’emergenza che stiamo attraversando?

Io sì. Sia chiaro: non sto sottovalutando in alcun modo la drammaticità del momento. Tutt’altro. Ma sono, per forma mentis, avvezzo a cogliere i semi di vita nuova, veri e propri germogli di speranza, come quelli dell’albicocco che contemplo ogni mattina dalla mia finestra: ad un occhio superficiale, non sempre è facile cogliere le differenze; a chi lo guarda con amore, rivela, di giorno in giorno, una significativa evoluzione… ad ogni mattina, una nuova, più larga, fioritura; ad ogni mattina, un più forte annuncio della primavera.

Voglio sperare che sia anche così per i frutti dolci che, in qualche modo, si colgono nella tragedia Coronavirus. Non parlo solo dei numeri, che pure guardo ogni giorno per scrutare barlumi dell’aurora, inversioni di tendenza. Duri ad arrivare.

Parlo di mani che si stringono virtualmente, di cuori che si affratellano, di “ciao, come stai? Ti ho chiamato perché volevo sentirti”… e magari non accadeva da anni.

Parlo di tutti gli appelli di sociologi, artisti, poeti, cantanti, uomini e donne comuni, che invitano alla resistenza. In ogni modo.

Parlo soprattutto di quanti sono in prima fila a fronteggiare il pericolo: medici, infermieri, volontari, forze dell’ordine, amministratori.

Parlo delle maestre che avrebbero dovuto lavorare 24 ore alla settimana e ora lavorano almeno 12 ore al giorno, in videconferenza con i loro alunni o mentre sono intente a preparare ogni sorta di materiale utile per la didattica a distanza.

Parlo di chi è in difficoltà, ma non si arrende, operai, pubblici esercenti, professionisti, imprenditori e soprattutto: persone anziane, ammalati, chiunque sia rimasto solo e isolato.

Parlo dell’Italia, ma anche del mondo: che si scopre un po’ più piccolo, un po’ più fragile, un po’ più bisognoso dell’aiuto reciproco.

Parlo del bisogno di spiritualità, che sembrava una roba per sfigati e, ora che le chiese sono chiuse, sembra tornare “di tendenza”.

Ognuno a modo suo.

Ed è così che, forse, il Coronavirus può darci una nuova, ennesima, lezione: siamo fragili, ma forti.

Chissà che non l’impariamo, una volta per tutte. Anche se non mi faccio illusioni, al riguardo.

Ecco, dovremmo segnarlo nelle nostre agende: basta poco per toglierci da questa terra; un piccolo nemico microscopico, sconosciuto ai nostri anticorpi, ed è finita. Hai pensato quanto difficile sia non portarsi le mani alla bocca o agli occhi? Meccanicamente, lo facevamo centinaia di volte al giorno. Lo facciamo tuttora ma, ad ogni gesto istintivo, rischiamo la vita: ci uccidiamo con un tocco, non serve una pistola. A tal punto siamo precari.

Eppure, siamo forti. La nostra capacità di resilienza è il vero segreto della nostra forza. Non della mia o tua forza, singolarmente prese. Ma dell’umanità nel suo insieme.

Ecco, potrebbe essere questa la lezione: siamo fragili da soli, ma forti, molto forti, insieme. Finché e a patto che restiamo insieme, anche se a distanza.

Speriamo di ricordarcene, una volta trangugiato l’amaro caffè di questi giorni.

Magari anche domani…

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2 COMMENTI

  1. E che dire dell’Italia che si è sentita unita solo quando abbiamo vinto i Modiali di calcio? Troppo facile perché troppo bello! ORA SIAMO UNITI PER DAVVERO! Con la FORZA della FRAGILITÀ. Forse è questa la vera fratellanza: tutti, abbiamo ora bisogno di tutti. Ognuno, in questi giorni, deve proteggere sé stesso per proteggere tutti gli altri. E ci voleva quel mostriciattolo, tanto microscopico da essere così pericoloso per farcelo capire? Direi di no, lo abbiamo sempre saputo, ma inconsciamente. Ora lo tocchiamo con… NOO con mano noo! Piuttosto, un sorriso, ora, è INDISPENSABILE.

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