The Way Back – diciannovesima puntata
“For the World you were a soldier, for us you were the World”, El Alamein, cimitero inglese, lapide di un ventenne.
A Roma Nord tutti i miei amici hanno radici profonde e famiglie stratificate. Non conosco nessuno quasi newcomer o, addirittura, expat. All’estero si formano tribù che nascono come reti umane di scopo e si evolvono come Queer Family. Lo scopo, all’inizio, è la solidarietà e la lotta alla saudade. Strada facendo la Queer Family diventa qualcos’altro, un nuovo senso di comunità e di appartenenza in pace.
Quante volte persi come Gagarin nello spazio ci siamo detti “Ricomincio da me?”. A volte però non ci bastiamo. È bello dissetarsi nell’amore degli altri. Voglio, dopo circa 42 anni, ricominciare da me senza il lavoro. Il lavoro non ci definisce anche se io ho iniziato a sedici anni mentre studiavo e ho pensato spesso di essere nient’altro che una lavoratrice. Sulla tipologia della lavoratrice ho scelto quella indefessa ma non “stakanovista”, mai, né workaholic.
Oggi, 19 aprile 2023, mi trovo a metà del cammino australe. Un mese alle spalle. E un mese davanti della mia vita back in Australia. Non è la stessa vita. Prima lavoravo ora no. Se non lavori qui la vita è noiosa e quindi devi diventare un forsennato dello sport o di qualcos’altro. Uno splendido clima, ma il tutto può risultare un po’ noioso se non lavori o se non guadagni abbastanza da avere la possibilità di risparmiare. Venti gradi e un sole cangiante as usual anche fra uno showering e un altro. Un cielo azzurro infinito, gazze su ogni albero, magpie, uccellini che ti vengono a salutare al mattino alla finestra e i loro versi inconfondibili. Storni di pappagalli neri grandi ondeggianti che volano basso. Ibis ovunque. Essere in pensione equivale a non avere proprio più nulla da dimostrare a nessuno. È bello. Dopo una vita ossessionata dal perfezionismo delle brave ragazze secchione è un’incredibile esperienza di libertà sapere che il tuo sostentamento non dipende dai voti che gli altri ti daranno. Anzi i voti non ci sono proprio più nella tua vita. A Sydney la mia amica insegnante mi è sembrata così angosciata dalla sua educazione siberiana e dai voti sempre un po’ tirati che lei stessa si dà e che dà ai suoi figli ed ho rivisto nella sua ansia tutta l’ansia della mia vita. Io sono cresciuta in un clan napoletano dove l’individuo conta poco se non quando riesce a stupire e ad aggiungere fascino e glamour al clan. Allora esisti in quanto individuo solo perché sei l’orgoglio di tutto il gruppo. Sembra sempre che fai le cose per la contentezza degli altri e non per te stesso. Sembra che tu debba riuscire a farti notare perché altrimenti il clan non è programmato per riconoscere la tua individualità. Tu come individuo non conti. Conta il clan. Conta la forza del clan. Conta quanto tu impreziosisci il clan. Forse per questo nessuno di noi sette cugini ha mai riformato un clan. Perché il clan ci aveva un po’ stressato. Salvo poi ad accorgersi che fuori dal clan c’è tanta solitudine e tanta sfida. Tutto è challenging, anche respirare. Ti manca l’aria nello straniamento dell’isolamento dalle radici, talvolta. Vivere da singoli senza rete è come giocare a Matrix dove i quadratini del 15 possono stare sempre al posto sbagliato. In teoria c’è sempre spazio per aggiustare tutto. In pratica la soluzione non sembra mai a portata di mano. Sei sempre solo e ti assale continuamente l’angoscia di non potercela fare. Il clan è una protezione da questo delirio di onnipotenza del singolo. Nelle società arcaiche il clan è una strategia umana. Napoli quando io ero giovane era una società arcaica. Oggi Napoli è più evoluta.
Oggi io sono invecchiata ma mi sono anche tardivamente emancipata da quest’obbligo dell’altrui approvazione. Non mi interessano più i voti. Raccolgo quello che ho seminato e strada facendo se mi capita semino ancora. Addio educazione siberiana. Ho conosciuto il giardiniere del College. Per la prima volta ho sognato un’occupazione. Vorrei essere l’inutile garzone aiutante di Greg. Inutile perché non so fare assolutamente nulla. Il giardino che lui cura nel College è assolutamente magnifico. Una delizia. Ci sono piante di ogni tipo. Domani o dopo chiederò il permesso di seguirlo dovunque per fare le foto.
Ivan è ucraino e sta in un College maschile e, nelle vacanze, in questo College misto con la sorella. Si chiama come Ivan di Sydney che è russo. Si pronuncia Ivàn con l’accento sulla a, “alla russa”. E’ scioccato e sembra un fuscello. Ha visto morire un suo amico sotto i bombardamenti a Kiev. L’altro Ivan cerca una sua identità. Non la trova e attacca al muro della sua camera una foto di un aereo da guerra russo. Se non fosse stato in Australia a quest’ora alla sua età sarebbe stato forse in guerra e forse avrebbe già visto un suo amico morire davanti ai suoi occhi. Entrambi parlano russo. L’Italia aiuta l’Ucraina ma continua a vendere know how militare alla Russia. La guerra è un grande affare.
Gli Ivàn ucraini e russi sono in pericolo nei loro diciotto anni. La guerra la decidono i vecchi e la muoiono i giovani. Vendere e comprare fette di vita degli altri. Tutti dovrebbero andare almeno una volta ad El Alamein in Egitto sul mare a visitare tutti i cimiteri del mondo, uno per tutti, quello inglese.
Entrambi gli Ivan avrebbero potuto essere arruolati. Invece hanno la fortuna di trovarsi in Australia.
L’esilio a volte è un disturbatore di matrix malevole. La guerra è un incubo per chi ha figli maschi di 18 anni ed oltre. Nel Pacifico cominciano le esercitazioni dell’esercito di sommergibili russi. Il panorama in oriente è questo.
Il college si offre come Queer Family transitoria non gratuita, se non con le borse di studio.
Nel programma del College ci sono 400 studenti di cui almeno 100 sono indigeni. E’ il più grande programma di inclusione di aborigeni dello Stato del Western Australia. Io consumo i pasti al College. Ieri sera una ragazza scurissima di pelle mangiava da sola. Quanti programmi ci vorranno per vederla ridere a tavola? Purtroppo nessun programma compra la lievità. Ma da qualche parte bisogna cominciare e i programmi sono l’inizio. Forse non lei. Forse sua figlia fra vent’anni al College non solo mangerà ma riderà anche. Forse sarà perfino supponente o, addirittura snob e posh.
L’esilio è challenging per la prima generazione. Un programma di inclusione degli aborigeni è un ulteriore esilio. Prima li hai esiliati dalla loro vita e ora li esili dentro la nostra vita. Esiliati due volte senza mai essersi mossi. A casa loro esiliati nella vita degli altri.
Ma ci vuole la pace per costruire “tutta questa roba qui”.