Questa è la prima pagina delle mie memorie canadesi. Che detto così sembra un po’ lugubre – motivo per cui preferirei chiamarlo “Foglie d’Acero”. Quindi questa è la mia Foglia n.1. Perché, così come le foglie cadono per terra in autunno, cercherò di trasportarvi dalla mia infanzia sull’albero della mia famiglia alla terraferma dell’età adulta.
Vi chiederete perché mai un andriese dovrebbe lasciare sole, mare, oliveti, la Puglia, la Bellezza, attraversare l’Oceano Atlantico in un volo di 9 ore, prendere il bus da Toronto ed insediarsi a Kingston? E poi, che cos’è Kingston?! Se siete curiosi abbastanza, proseguite nella lettura, altrimenti… beh, allora aspettate la Foglia d’Acero n.2.
Per i più temerari, che hanno scelto di resistere e leggere tutta la mia Foglia n.1, ho una risposta.
Ho lasciato l’Italia per diversi motivi. I più ovvi – che è mia premura evitare, soprattutto per non sfociare in noiosissimi discorsi politici – sono solo le basi delle mie, più profonde, motivazioni.
Sono cresciuto nell’Oratorio Salesiano, che è stata, nel vero senso della parola, la mia seconda casa fino all’età di 14 anni. Ho avuto la possibilità e la fortuna di formarmi e di crescere accanto a persone meravigliose. E di giocare a calcio, con grande orgoglio, nelle fila della P.G.S. Don Bosco. Dopo 10 anni di campi di periferia, fra panchine, gite a Cisternino, Santeramo in Colle, Manduria – sì, sono sempre loro – e scampagnate varie, credo di poter essere inserito negli annali della squadra di calcio dell’Oratorio, di cui sono stato capitano per quasi cinque anni.
È con questa mentalità autenticamente genuina che sono diventato adolescente. Son cresciuto ascoltando i Red Hot Chili Peppers e i Green Day. Ho cominciato ad interrogarmi su tutto, e a sviluppare un’intensa passione per il viaggio, che tuttora mi accompagna. Ho avuto la fortuna di nascere e crescere in una famiglia che mi ha trasmesso la cultura del viaggio, dell’amore verso la scoperta e la conoscenza. Credo di essere nato per viaggiare e per conoscere. Ho un piccolo-grande progetto di vita che intendo realizzare. Per realizzarlo ho scelto, come Ulisse, di conoscere il mondo, di esplorare, ubriacarmi di culture diverse, per poi tornare sobrio e fare tesoro di queste culture nella mia adorata terra natìa.
Dopo aver completato i miei studi presso il Liceo Scientifico, ho risposto alla domanda: “Dove vado ora che ho finito il liceo?” con: “Al Nord, nelle terre trentine, per studiare Economia. Forse.”.
Non mi bastava. Sin dal primo giorno di Università, sapevo che prima o poi avrei lasciato – temporaneamente – Trento per andare a studiare da qualche altra parte. Ed infatti, due anni e mezzo dopo, eccomi in Svezia.
In Svezia, al di là dei facili accostamenti al biondume – passatemi il termine, lo trovo simpatico – generale, ho trovato una famiglia. Gli svedesi sono una famiglia. Una famiglia colta, lungimirante, geniale, umile e compassionevole. Sarà che la Mulino Bianco girava i propri spot pubblicitari in Svezia?
Ho conosciuto gente proveniente da tutto il mondo. Ho lavorato in gruppo con un ragazzo tagiko – per i non addetti ai lavori, leggasi “proveniente dal Tagikistan”, un Paese che non avrei saputo nemmeno collocare su di una cartina geografica.
Nella tundra svedese ho realizzato che viaggiare non è lo scopo ultimo dei miei spostamenti. Viaggio perché amo scoprire nuove culture. Ho scoperto quanto sia totalizzante scoprire un mare di cose nuove, dalle abitudini alimentari ai contesti professionali. Tutto nuovo, tutto così diverso da Andria e dalla mia amata Italia. Ed ecco perché sono tornato in Italia più carico che mai. Ho terminato gli studi a Trento a luglio dello scorso anno, e ho deciso di proseguire i miei studi a Milano. Dove sapevo che non sarei rimasto a lungo. Qualcos’altro mi aspettava. Altrove.
Ed eccomi in Canada. A Kingston, la vecchia capitale. In Ontario, la regione più ricca del Paese, dove ha sede Ottawa, l’odierna capitale. A 300 km da Toronto, la capitale finanziaria e culturale del Canada.
Il Canada è simile alla Svezia. Ancora una volta, sto conoscendo gente proveniente dai contesti più disparati, da culture diametralmente opposte rispetto alla mia, con mille storie da raccontare. Amo ascoltarle, amo immergermi nei loro pensieri, amo lavorare con loro.
I canadesi fanno del rispetto altrui la propria ragione di vita. Semmai doveste trovarvi in Canada, assicuratevi di iniziare il vostro discorso con un “hey” finale: i Canadesi lo fanno per abitudine, ma mi hanno confessato che lo fanno per mettere a proprio agio il loro interlocutore. “Hey” è una onomatopea che utilizzano in stile Happy Days per finire la frase in modo figo per rendere il tono della discussione più informale. Un po’ come il nostro “uannà”.
Sebbene svariate statistiche indichino che i nordamericani tendono ad essere fortemente individualisti, la comunità è al centro delle loro vite. Fra un barbecue con ed una cena a casa del vicino, familiarizzano con il quartiere e si impegnano a rispettare le libertà altrui, pretendendo, in cambio, rispetto per sè stessi, applicando il mio concetto preferito di libertà, secondo cui essere liberi significa poter fare ciò che si vuole nel limite del legale e del reciproco rispetto, nonchè del riconoscimento di questo limite. In parole povere, la mia libertà finisce dove inizia quella del prossimo.
Non posso lamentarmi di nulla qui in Canada, eccetto del cibo. Ma, essendo pugliese, ho il palato troppo sopraffino per poter commentare in maniera oggettiva.
Vorrei raccontare altro, ma temo che limiti di spazio di impaginazione e di pazienza del lettore abbia abusato un po’ troppo. Le foglie d’acero continuano a cadere, e altrettanto faranno le mie Foglie d’Acero: continueranno a cadere qui, su Odysseo. Alla prossima, hey.
Hey! complimenti e spero che tu possa un giorno mettere a frutto in Andria le tue conoscenze ed esperienze. Hey!