Che cosa sono i

La situazione storica è un pochino confusa: libere (molto) divagazioni (non tanto) sul modo di intendere i “fiori”, ieri e oggi.

Il trenta luglio duemilaundici Maria-Chiara salì sul torrione del suo castello per considerare un momentino la situazione storica e la trovò un poco confusa. Per questo, decise di sedersi nel prato adiacente al camping di Castel di Sangro e iniziare un vecchio libro trovato nella libreria di casa.

I fiori blu di Raymond Queneau. Con un po’ di scetticismo, iniziò a leggere, spinta solo dalla traduzione di Italo Calvino più che dalla curiosità per il libro stesso.

Eppure, alla fine di quella lettura, la storia finì, lei fu libera e compì il proprio destino scegliendo la strada giusta, guidata dalla passione e da un po’ di sana irrazionalità onirica.

I fiori blu sono questo: pura, dirompente, esplosiva genialità concentrata in una cosa piccola e innocente. Come è il linguaggio, come i fiori.

Che cosa sono i “fiori blu”? Nella nota del traduttore (cioè Calvino), si fa riferimento all’espressione “le fleurs bleues”, che indica quelle persone romantiche e malinconiche. Nel romanzo di Queneau questi fiori spuntano solo all’inizio e alla fine, come se fossero la cerniera della storia. Anzi. Mentre leggevo, immaginavo lo svolgersi del romanzo come se fosse un lavoro ai ferri: all’inizio c’è un filo libero e informe che a poco a poco viene intrecciato e solo alla fine ci si rende conto di avere una sciarpa.

Il filo di lana è retto da una parte dal Duca d’Auge, istrionico personaggio che il 25 settembre 1264 inizia il proprio viaggio attraverso la storia; dall’altra dal pigro Cidrolin, che passa le sue giornate a dormire e a sognare (in senso onirico) su una chiatta ormeggiata nella Senna, accudito dalla figlia Lamelia e dalla giovane Lalice. La narrazione procede tra le avventure del Duca, impaziente e impulsivo, che si lancia a capofitto in qualsiasi occasione gli si presenti, e le pigre giornate di Cidrolin, passate a dormicchiare sull’amaca e a cancellare la scritta “assassino” che un misterioso avventore continua a scrivergli sulla staccionata.

La domanda che intreccia le due storie, come se fosse il ferro con cui lavorare la lana è: “ma che c’entrano questi due, dallo stesso nome, ma dalle vite, dalle epoche e dalle attitudini opposte?”. La risposta, oltre che nel capitolo finale, è in due citazioni che l’autore inserisce all’inizio: Platone “ὅναρ ἀντὶ ὀνείρατος” (il sogno in cambio del sogno) e Chuang-Tzè “Secondo un celebre apologo cinese, Chuang-tzé sogna d’essere una farfalla; ma chi dice che non sia la farfalla a sognare d’essere Chuang-tzé?”

Il libro è fondamentale, non solo per la genialità di Queneau e dei suoi continui giochi di parole, ma per i livelli di lettura che sembrano non esaurirsi mai. Basti pensare a passaggi come questo: “Resti del passato alla rinfusa si trascinavano ancora qua e là. Sulle rive del vicino rivo erano accampati un Unno o due; poco distante un Gallo, forse Eudeno, immergeva audacemente i piedi nella fresca corrente. Si disegnavano all’orizzonte le sagome sfatte di qualche diritto Romano, gran Saraceno, vecchio Franco, ignoto Vandalo. I Normanni bevevan calvadòs.”

Sono state delineate una lettura filosofica e una psicanalitica del romanzo. Secondo Vivian Kogan, Queneau imposta il romanzo in chiave hegeliana: è necessario giungere alla fine della storia affinché l’uomo sia libero. Come si giunge alla fine della storia? Hegel parla degli individui e delle loro passioni come strumento per arrivare alla libertà, poiché sono loro ad imprimere alla storia un progresso e una direzione.

Anne Clancier parla di una lettura psicanalitica, in cui il Duca d’Auge rappresenta l’Es, “la voce della natura nell’animo dell’uomo”, le nostre pulsioni, anche quelle autodistruttive (non è un caso che il Duca si getti in avventure inconcludenti e pericolose). Cidrolin è l’Ego, il mediatore, la struttura organizzata tra le pulsioni e la ragione; Labal, il proprietario del Camping dove vive Cidrolin, è il Super Io, la razionalità pura, calcolatrice, pronta a controllare l’Ego con il senso di colpa e la vergogna (“- Ah, caro signore, sapesse com’è faticoso pensare. Da come la vedo vivere, mi sa che lei questo tormento non lo conosca. Ma io, caro signore, le ripeto, non smetto un minuto di far funzionare la mia materia grigia. Neanche quando vado al gabinetto. Lei non può immaginare. Roba da non credere”).

Così come lee due figure del Duca e di Cidrolin sono diverse, opposte, lontane sia nel tempo che nelle attitudini, ma tra di loro sono essenzialmente complementari, anche le due letture dei Fiori blu (quella filosofica e quella psicanalitica) sono entrambe necessarie. E non è impensabile che Queneau le abbia consapevolmente strutturate, tenendo conto dell’incredibile poliedricità dello scrittore che, nel corso della sua vita, ha coltivato passioni che andavano dall’egittologia alla matematica, dalla filosofia alla musica e altro ancora.

Il Duca e Cidrolin sono due sognatori: il primo è un idealista, un romantico che vuole arrivare alla fine della storia per essere libero; il secondo è un sognatore in senso onirico, perché nel sonno è libero dalla quotidianità, la mente crea quello che lui non è in grado di creare nella concretezza della realtà.

Questo libro è una dedica, un abbraccio affettuoso e divertito a tutti quei “fiori blu”, ironicamente definiti da Queneau, che sognano per sentirsi liberi. E che sono fondamentali a qualsiasi società, perché sono forse i più concreti di tutti, nel volere nell’impossibile.

Ma soprattutto, sono quelli che si imbarcano impulsivamente sull’Arca nella tempesta e, quando il fango ha ricoperto tutto, guardano la storia dall’alto del torrione per valutare la situazione storica per sbocciare, nonostante tutto.