«L’uguaglianza è prima di tutto una sospensione delle solitudini»

(Erri De Luca)

Fine pena mai. È la formula comune con cui si indica la condanna all’ergastolo, il carcere a vita.

Il modo di dire deriva dal fatto che sui certificati di detenzione deve essere indicata la data di inizio di detenzione e quella in cui la pena avrà termine. Nel caso della condanna all’ergastolo, alla data di inizio segue: “fine pena mai”. O anche: “fine pena 31/12/9999”.

In realtà, un detenuto, in seguito a buona condotta, può sperare in una serie di benefici carcerari, che, a seconda dei casi, possono scattare dopo 10, 20, 30 anni…

In sintesi – tranne che in casi specifici e per reati particolarmente gravi, in cui è previsto sia l’ergastolo con isolamento diurno che il cosiddetto “ergastolo ostativo” – possiamo concludere che un ergastolano, dopo 30 anni, può sperare in una serie di agevolazioni quali permessi premio o permessi per lavoro esterno, può ottenere la liberazione condizionale, la semilibertà e misure alternative alla detenzione.

È la ragione per cui, comunemente, si dice che un ergastolo dura 30 anni.

Ho imparato queste cose da quando, da più di tre anni a questa parte, vado regolarmente a far visita a quelli che chiamo “i miei ragazzi” e “le mie ragazze”, ovvero i detenuti e le detenute della Casa Circondariale di Trani, dove la mia scuola, il CPIA BAT “Gino Strada”, tiene regolarmente i suoi corsi per chi vede nella pubblica istruzione un’occasione di crescita e riscatto.

Ma perché ti scrivo tutto questo?

Perché giorni fa ho incontrato quattro suorine (il diminutivo è affettivo…) che si occupano delle “ragazze” della sezione femminile. Non era la prima volta che avevo modo di salutarle, ma questa volta ho fatto una scoperta che mi ha lasciato letteralmente a bocca aperta.

Data la loro veneranda età, nella mia ingenuità pensavo che fossero arrivate in carcere dopo aver speso la loro vita religiosa in altro tipo di servizio. Che so, me le immaginavo maestre di scuola di infanzia, missionarie in Africa, catechiste in parrocchia. E invece no. Una di loro mi ha detto: “Sono qui dal 1960…”.

Mi spiego? Dal 1960. 63 anni fa. Più di due ergastoli.

Quella donna, innamorata di Dio e del prossimo, mi stava dicendo che è entrata in carcere quando era più che una ragazzina e che ci è rimasta per sempre. Per sempre.

Fino ad oggi.

Ci è rimasta per amore. Per scelta. Non per condanna. E senza chiedere benefici.

“Fine pena mai!”, ho pensato.

Ma poi mi sono corretto, ricordando Sant’Agostino: «La misura dell’amore è amare senza misura».

Ecco: amare senza misura. Tanto da apprestarsi liberamente, e gioiosamente, a vivere il proprio sessantaquattresimo Natale in carcere.

Perché non c’è mai abbastanza buio, anche oggi, anche in questo tempo, anche a Natale, anche in carcere, per chi ha scelto di illuminare la propria e altrui esistenza con queste tre brevi parole, otto sillabe in tutto: fine amore mai.

Allora, buon Natale: alle “mie ragazze”, ai “miei ragazzi”, alle “mie suorine” e a tutti quelli che lavorano con e per loro. Buon Natale a chi crede: fine amore mai. Buona Natale, ancor di più, a chi nell’amore non crede.

E Buon Natale anche a te che leggi, caro lettore, adorata lettrice.

Lev Tolstoj: «Possiamo vivere nel mondo una vita meravigliosa se sappiamo lavorare e amare, lavorare per coloro che amiamo e amare ciò per cui lavoriamo».

Madre Teresa di Calcutta: «L’amore non vive di parole».

James Matthew Barrie: «La vita è una lunga lezione di umiltà».