We don’t read and write poetry because it’s cute. We read and write poetry because we are members of the human race. And the human race is filled with passion. And medicine, law, business, engineering, these are noble pursuits and necessary to sustain life. But poetry, beauty, romance, love, these are what we stay alive for.

“Non leggiamo e scriviamo poesie solo perché è una cosa carina: noi leggiamo e scriviamo poesie in quanto facciamo parte della razza umana, e la razza umana è colma di passione. Medicina, giurisprudenza, economia e ingegneria sono delle professioni nobili, fondamentali per il nostro sostentamento, ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l’amore… Sono queste le cose che ci tengono in vita”: così scriveva il poeta del Romanticismo americano Walt Whitman.

Pure la paura ci tiene in vita, possiamo dire a conclusione dei lavori del “Convivio di Filosofia” del Liceo Scientifico Nuzzi di Andria, appena terminato, mentre la letteratura, l’arte, la filosofia, apparentemente inutilici servono  invece a dare un nome alle emozioni che proviamo, a nobilitane la natura trasformandole in sentimenti, per poterle così analizzare e disciplinare.

La paura ci accomuna e ci accompagna, nel visibile e nell’invisibile. I trentadue relatori del Convivio si sono imbarcati tutti su quella nave, hanno percorso un’identica rotta ma  ciascuno un viaggio diverso.  Un cammino inizialmente introspettivo, attraverso il quale i ragazzi hanno individuato la propria paura più grande. L’hanno battezzata con scientificità: cherofobia (paura delle emozioni positive), eremofobia (paura della solitudine), filofobia (paura dell’amore), atelofobia (paura di risultare incapaci), sono solo alcune delle “compagne di vita” della loro adolescenza. Alcune poi ci accompagnano per tutta la vita, ci tormentano anche nell’età adulta e pongono un freno al nostro sfrecciare tra la moltitudine di occasioni che la vita ci offre. Altre ancora ci sono d’aiuto, rendendoci consapevoli dei pericoli che è bene evitare e delle situazioni da prevenire.

Il sentimento primario della paura, comune a uomini e animali, ci prepara alla lotta o alla fuga.

La paura dell’apatia – del non provare più sentimenti – trova le due soluzioni concatenate: la lotta consiste nella fuga stessa, nell’abbandono interiore ed esteriore alla propria natura sensibile, fragile e straordinariamente umana, che è fatta di emozioni e di risposte alle emozioni, la cui negazione non è sinonimo di virtù, come credevano gli stoici, né di coraggio, ma di indifferenza.

Incredibilmente c’è chi ha paura di essere felice. Sono i cherofobici, e al pari forse di chi non vive pienamente la propria esistenza per la paura del dolore, Epicuro ricorda che l’essenza della vita è proprio nell’alternanza di momenti positivi e negativi, alti e bassi, e che diversamente essa sarebbe piatta, monotona e certamente infelice.

Filosofia e religione rispondono dunque in vario modo. La preghiera e la fede, per alleviare ansia e preoccupazioni, che così proiettiamo al nostro divino. La filosofia orientale insegna le pratiche dello yoga e della meditazione, che coltivano il legame indissolubile tra corpo e mente, armonizzandolo ed equilibrandolo.

E quando la paura si è vinta arriva il coraggio, il coraggio di essere, prima di tutto, sé stessi, diversi, omosessuali, sensibili, vincenti, perdenti, a volte, volutamente, soli, belli dentro, tutti.

Per essere perfetti bisogna diventare chi siamo.” (Nietzsche)